BRASILE 2014 – Africa addio

Il trionfo della Nigeria alle Olimpiadi del 1996 sembrava aprire le porte alla grande rivoluzione africana del pallone. Il calcio è uno sport conservatore e il mondiale brasiliano non ha fatto eccezione: le squadre del continente non arrivano mai fino in fondo. Il trionfo dei loro atleti è arrivato sotto delle altre bandiere e il gol di Paul Pogba che ha mandato a casa le aquile ne è la dimostrazione. 

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Il calcio è uno sport conservatore: i mondiali sono arrivati alla ventesima edizione e il club delle squadre che ne hanno vinto uno è limitato ad otto nazionali. La rassegna brasiliana era stata annunciata come quella dei cambiamenti: la goal-line technology e i cooling break sembravano aprire la strada ad una serie di novità. Gli arbitri si rassegneranno a portarsi dietro lo spray e i bar di tutto il mondo avranno meno argomenti di discussione ma gli indiscutibili exploit della Colombia e della Costarica non hanno tolto la sensazione che queste variazioni non saranno così significative. E' sempre più probabile che la lotta per il titolo sarà un questione tra le solite note. Il Cile si è fermato sull'incredibile traversa all'ultimo minuto di Mauricio Pinilla e il Messico si è arreso alle finte di Arjen Robben. La penultima giornata degli ottavi di finale ha allontanato ulteriormente le sorprese e ha consegnato delle altre conferme: le squadre africane sono ancora delle promesse mancate. Il calcio del continente è maturato molto da quando Mwepu Ilunga dello Zaire scambiò una punizione dal limite di Rivelinho per una partita di rubabandiera. La storia ha dato delle tragiche motivazioni per quel gesto insensato ma la sua assurda uscita dalla barriera è rimasto il simbolo dell'arretratezza del calcio africano. Le sue nazionali non suscitano più la simpatia di un tempo ma incutono rispetto da quando l'Algeria vinse contro la Germania Ovest e da quando il Camerun fermò sul pareggio l'Italia ai mondiali spagnoli del 1982. Le sue squadre hanno regalato dei momenti epici come le prodezze di Roger Milla e il gol di Boupa Diop che spense la grandeur francese nella partita inaugurale del 2002. I dribbling di Gervinho sono tra i momenti migliori di questo mondiale ma il dato di fatto è che la Costa d'Avorio non ha nemmeno passato il girone. Un fallo scriteriato in extremis contro la Grecia ha permesso agli ellenici di tirare il calcio di rigore che ha mandato a casa Didier Drogba e i suoi compatrioti. Le squadre africane non arrivano mai fino in fondo e hanno persino perso l'occasione storica del mondiale di casa nel 2010. Le Olimpiadi di Atlanta del 1996 erano state lo scenario di un evento potenzialmente rivoluzionario: la Nigeria vinse il torneo dopo aver eliminato il Brasile in semifinale e dopo aver sconfitto l'Argentina nell'ultima partita. Il pallone sembrava pronto a vivere una nuova era in cui le gerarchie si sarebbero completamente ribaltate. La svolta epocale non si è mai verificata e le ultime due squadre in corsa in questo mondiale sono state eliminate da due vecchie glorie come la Francia e come la Germania.

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Il calcio africano è salito alla ribalta in un contesto di diaspora: i suoi elementi migliori si affermano sotto un'altra bandiera. Il muro eretto dal portiere nigeriano Vincent Enyeama è franato dopo un colpo di testa di Paul Pogba: un giovane francese di seconda generazione che è nato da due genitori immigrati dalla Guinea. Il calcio ha perpeterato il modus operandi del colonialismo e ha proceduto alla sottrazione delle materie prime: la scuola transalpina non aveva mai lasciato il segno fino a quando il commissario tecnico Michel Hidalgo non decise di farla diventare il primo laboratorio multietnico del pallone. Era il 1978 e Marius Tresor e Gerard Janvion cantavano la marseillaise nella competizione in Argentina. La classe di Michel Platini e la tenacia di Alain Giresse si completavano con i rudi contrasti di Luis Fernandez ma il tassello fondamentale era il passo inesauribile di un maliano che si chiamava Jean Tigana. La fortuna della nazionale francese iniziò quando le colonie africane offrirono il mattone decisivo per costruire il centrocampo più forte del decennio. Il quadrato magico regalò un terzo posto ai mondiali e un titolo europeo e stabilì una tradizione in quel ruolo che è continuata nel segno del senegalese Patrick Vieira e adesso è nelle mani di Paul Pogba. Il suo guizzo in mischia ha sbloccato una partita in equilibrio e ha decretato ancora una volta la fine del sogno di emancipazione calcistica del continente africano. La Francia che ha imparato a vincere non è mai piaciuta al Front National ma è stato il figlio di un algerino come Zinedine Zidane a fare una doppietta contro il Brasile nella finale di Parigi e a far festeggiare un milione di connazionali agli Champs Elysees. I bleus si sono rinnovati in modo intelligente e sono un'inevitabile conseguenza della politica dell'impero: una felice iintegrazione tra il calcio locale e il meglio della tradizione maghrebina e di quella subsahariana. La Germania non ha rinunciato alle sue solide ed affidabili abitudini ma ha aperto le braccia al ghanese Jerome Boateng e al talento del turco Mesut Ozil e del tunisino Sami Khedira. Le possibilità della Nigeria e quelle dell'Algeria erano attaccate all'ecombiabile coraggio di quello che resta: una virtù che non può bastare in uno sport crudele come il calcio. La griglia dei quarti di finale è quasi completata e non sia mai che manchino i tedeschi…

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