BRASILE 2014 – ¿Por qué no te callas?

the last game nike

A metà strada, i caduti sul campo fanno senz'altro più scalpore e rumore dei sopravvissuti. L'Italia, la Spagna, il Portogallo, l'Inghilterra, la Russia di Capello. Ma in realtà chi è davvero in difficoltà è la Nike, che ha puntato, per la sua campagna pubblicitaria, su un gruppo di stelle fallimentare

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mario balotelli"Balotelli ha la coscienza a posto ed è pronto ad andare avanti più forte di prima e con la testa alta. Fiero di aver dato tutto per il Suo Paese. O forse, come dite voi, non sono Italiano. Gli africani non scaricherebbero mai un loro "fratello". MAI. In questo noi negri, come ci chiamate voi, siamo anni luce avanti".

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Il dramma si consuma via Instagram o davanti le telecamere. Non più al riparo, tra quattro mura, nel segreto dello spogliatoio. Perché abbia senso, il melodramma deve essere messo in piazza, va mostrato a tutti, senza paura. Anzi, con fierezza. Balotelli risponde così, da un social network, a quanti lo accusano più o meno apertamente di essere uno dei maggiori (se non il maggior…) responsabile del fallimento azzurro. Rivendicando da un lato la sua piena italianità, dall'altro le sue origini razziali. Mischiando in qualche modo il sacro con il profano, il serio e il faceto. Ma soprattutto confondendosi con le forme pronominali. Perché se l'inizio del messaggio, quello in cui si ribadisce la fedeltà alla bandiera, è scritto in prima persona, nella seconda parte Balotelli parla di sé in terza persona. E poi, quando usa il termine proibito, "negro", dice "noi", ha la necessità di rivendicare una comunità che faccia gruppo intorno a lui, contro la vera squadra che lo ha allontanato. Ma quel "noi" ha una valenza retorica, che in realtà esclude l'io, il mettersi in gioco personalmente. Non più moi, un noir. Io italiano, noi negri. Sintomi di scissioni inconciliabili, chissà… In ogni caso, segni di un pensiero confuso. Non credo che i giocatori della Nigeria – passati agli ottavi, dopo aver messo in difficoltà un'Argentina sempre più dipendente da una "pulce" – possano parlare così. Fatto sta che nel suo piagnisteo infinito, Balotelli sembra assomigliare sempre più all'Aristoteles de L'allenatore nel pallone. "Nessuno vuole bene Ari…". Ci manca solo che il prossimo C.T., Oronzo Canà verosimilmente, gli afferri le mani e le baci "io ti voglio bene, io ti voglio bene…". Hai perso? E allora ¿Por qué no te callas?

 

l'allenatore nel palloneMa quella di Balotelli è solo la più plateale – almeno per noi italiani – della tragedie che si sono consumate in queste prime due settimane deimondiali. Perché a metà strada, le vittime fanno senz'altro più scalpore e rumore dei sopravvissuti. Gli spagnoli che hanno abdicato alla corona, insieme a Juan Carlos: e hai voglia a urlare ¿Por qué no te callas? all'Hugo Chavez di turno. E poi gli inglesi che hanno avuto sempre un'unica e sola corona. E i portoghesi rispediti a casa senza tanti complimenti. E la Russia, beffata dall'Algeria (grande!), con Capello che se la prende con gli arbitri e i laser lanciati dallo spazio. Tanti gli allenatori dimissionari, Prandelli, Zaccheroni, Lamouchi della Costa d'Avorio, Suárez dell'Honduras, Queiroz dell'Iran. Tanti i morti sul campo, non ultimo Luis Nosferatu Suárez rimandato nella tomba per quattro mesi.

 

the last game nikeMa in realtà chi è davvero in difficoltà è la Nike, che ha puntato, per la sua campagna pubblicitaria, su un gruppo di stelle fallimentare. Ibrahimovic non è proprio in gioco, Ribery si è infortunato. Cristiano Ronaldo, Wayne Rooney, Iniesta: tutti a casa. Considerando che il buon Tim Howard, il portiere degli USA, non avrà vita lunghissima, restano Neymar e David Luiz (oltre che il vecchio Ronaldo, l'unico vero "fenomeno"). Se dovesse perdere il Brasile, ci sarà senz'altro un nuovo Maracanazo: i pubblicitari della Nike si suicideranno in massa. E si scriverà una delle pagine più buie della storia economica del calcio.

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