"Cinema senz'aura"

Nel lavoro di Luciano Emmer e di Enrico Ghezzi il cinema viene ri/situato nelle regioni amniotiche della dissolvenza (commento di Emmer, excursus visivo su quadri e sculture, di nuovo il buio), in cui si profetizza il dopomorte hegeliano dell'arte, per poi spostarsi su frammenti irradiatori di cinema posti sulle pareti scoscese di una roccia scivolosa

--------------------------------------------------------------
INTELLIGENZA ARTIFICIALE PER LA SCENEGGIATURA, CORSO ONLINE DAL 28 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Genova città aperta vista dalla soggettiva replicata di una mortadella afflosciata al suolo è la screziatura fenomenologica di un occhio spento, riaccesosi tra bagliori di fiamme che inquinano, depistano, riaccendono la percezione, prima dell'oscuramento finale. E' la continuazione scopica del lungo movimento di Enrico Ghezzi che lascia sedimentare lo strato dell'immagine su cavità invisibili che scuotono la materia, in un saliescendi di ipotesi registiche, culminate nell'aspersione rigenerante nelle acque turbolente del dopocinema. Paura e desiderio allora, fear and desire, quali tracciati di una lingua intima e necessaria che Ghezzi graffia con il commento fuori tempo massimo/fuori campo sulle rovine fumanti delle Twin Towers, quale ultimo commiato dallo spettro/revenant dell'immagine, lungo l'asincronia di un gesto poetico collimato in registrazione coatta di un suono, di un rumore, di una presenza. In questo senso Con aura senz'aura, Viaggio ai confini dell'arte (la seconda e ultima parte andrà in onda mercoledì 28 gennaio) rappresenta l'esplosione di un'immagine vuota, di un simulacro del corpo pronto a simulare vertigini ancestrali (il crollo della struttura sotto il peso di un fuoricampo) e paradossi materici, producendo cascami dorati e oscuri fraseggi. Il set ospita da subito la riapparizione fluttuante di Da Vinci (Ghezzi ne cita uno dei passi più celebri), per poi avventurarsi nel bagliore incontaminato della prima avventura estetica dell'uomo, quella della caverna platonica, dell'ombra, della luce appena percepibile. Emmer, e la sua sola voce accarezza i contorni teneri e perduti di un'oscurità primordiale, condanna tutto il cinema italiano di oggi all'anacronismo, alla vecchiaia, alla stasi su coordinate stantie e retrograde. Questo perché ha capito che il cinema oggi non esiste più, va ripensato, ri/immaginato, riagito smuovendo centrifughe temporali e derive spaziali, tessuti corporei e smalti primigeni. Cinema totem allora, proibizione inavvicinabile che l'immagine prova a moltiplicare, riducendo, in perimetrazioni sempre più approssimative. La verticalità del crollo registrata l'11 settembre segna allora il confine di una nuova orizzontalità dello sguardo, quella della caverna, della spelonca agitata dallo sfarfallio di un occhio che deve riabituarsi alla luce, provando ad immaginare il dopo. La voce di Emmer si avventura allora nella preistoria abbacinante dell'Angelus Novus di Klee (paura e desiderio per Benjamin, tremore e rinascita per noi), azzeccando la proiezione scopica del desiderio di essere l'immagine, anche se abbandonata, anche se ridotta a pallida evanescenza situata alle nostre spalle. Il cinema viene allora ri/situato nelle regioni amniotiche della dissolvenza (commento di Emmer, excursus visivo su quadri e sculture, di nuovo il buio), in cui si profetizza il dopomorte hegeliano dell'arte, per poi spostarsi su frammenti irradiatori di cinema posti sulle pareti scoscese di una roccia scivolosa, laddove si scorge il germe di una presenza rivissuta attraverso il sego pittorico (Emmer che si incanta davanti alle pitture rupestri risalenti all'alba dell'uomo), e dove è ancora possibile sognare il divenire della forma, la sua prima genesi e la sua ultima dimora. La politicità del fuoco che arde i lembi dell'inquadratura sta allora tutta nel concepire un viaggio nell'arte che è anzitutto permanenza irrequieta del corpo tra i margini rischiosi di un Bosch, di un Botticelli, rivissuti/riletti/riassaporati dall'intersezioni vocali di Dante e Poliziano, in una deflagrazione di zone liminari, di divisioni, di confini appunto, perché Emmer si immola sull'altare del visibile quale offerta di uno sguardo ancora vergine, esterrefatto, sorpreso, incapace insomma di redigere schemi, di immaginare ripartizioni ,di praticare incasellamenti. La verità dell'arte è sempre racchiusa nell'occhio di chi vede (lo diceva Eastwood nel suo Mezzanotte nel giardino del bene e del male), in questo caso di chi vede a stento dato il buio imperante e l'angosciosa presenza di una grotta in cui il passato dell'arte si confonde col presente dello sguardo, e in cui una fiaccola accesa illumina il puerile occhio di chi esorcizza la morte giocando col suo riflesso.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array