CINEMAFRICA – CANNES 66: "C'est eux les chiens…", di Hicham Lasri : In un buco nero della storia
Al Festival di Cannes, nella sezione parallela ACID, C’est eux les chiens… di Hicham Lasri segna un ennesimo punto a favore del 36enne regista marocchino, collaboratore di Nabil Ayouch. Articolo a cura di www.cinemafrica.org
di Leonardo De Franceschi
Presentato in una strabordante sala del cinema Les Arcades, all’interno della sezione parallela organizzata dall’ACID (Association du Cinéma Indépendant pour sa Diffusion), come già il precedente The End, il film C’est eux les chiens… segna un ennesimo punto a favore del 36enne regista casablanchese Hicham Lasri (nella foto), che ha alle spalle anni di gavetta come regista, sceneggiatore e direttore tecnico della factory di Nabil Ayouch, Film Industry. Ayouch, tra i nomi di punta del cinema marocchino di oggi, ha prodotto e accompagnato con passione il suo regista alla presentazione cannense, seguita da un partecipato q&a.
Il film si apre sulle immagini di una manifestazione contro il governo. Siamo in piena primavera araba del 2011, ma non in Tunisia o in Egitto, bensì a Casablanca, capitale economica del Marocco. Un giornalista della tv pubblica sta facendo un servizio con la sua troupe, quando per caso si imbatte in un vecchietto smunto sulla sessantina, dall’aria un po’ confusa, che si aggira tra la piccola folla dei manifestanti. Prova a fargli qualche domanda, ma il vecchio risponde elusivamente e fa per andarsene. Tirandosi dietro la troupe, il giornalista comincia a tallonarlo e scopre che l’uomo, uscito trent’anni fa per comprare fiori alla moglie e uno stabilizzatore per la bicicletta del figlio, si è trovato implicato suo malgrado nelle manifestazioni del giugno 1981, a sostegno di uno sciopero generale provocato da un aumento improvviso e insostenibile dei prezzi del pane e dei beni di primo consumo. Erano i terribili "anni di piombo" in Marocco e il regime di Hassan II rispose col pugno di ferro, schiacciando il movimento con una repressione di piazza e carceraria che ha provocato centinaia di morti e cinquemila arresti sommari e detenzioni senza processo, ivi compreso il nostro protagonista.
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Dopo tante amarezze, rimane per il vecchio 404, più che la soddisfazione di un’intervista prime time in tv, il piacere di smezzarsi una sigaretta col nipote Sofiane, appena rilasciato dalla polizia per aver partecipato al movimento del 20 febbraio, e di passargli perfino un trucchetto su come fare più punti alla playstation – lui, che non sa manco cosa sia un cellulare e va in giro con banconote fuori corso – rivelatogli dall’operatore smanettone della troupe televisiva. Il problema, nella società e nel cinema arabi, è sempre il rapporto col padre, tra figli e nipoti non è così difficile intendersi.
Se The End era come un remake tarantiniano di un film espressionista degli anni Venti, provocatoriamente radicale in ogni sua scelta di impaginazione visiva, C’est eux qui sont les chiens… (il titolo è una citazione dal poeta iracheno Ahmed Matar, improvvisata dall’attore protagonista) porta alle estreme conseguenze un partito preso preciso, vale a dire l’estetica del reportage televisivo. Il film parte dalle immagini in presa diretta della manifestazione, esibendo ostentatamente tutti i vizi e le imperfezioni tecniche della ripresa senza mediazioni (fuori fuoco, vibrazioni, décadrages, suono che va e viene per le batterie esaurite del microfono…) ma sviluppa questa linea metadiscorsiva fino alla fine, tra un passaggio di mano e l’altro della videocamera, compreso un suo surreale scippo in moto mentre era accesa.
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Attraverso le testimonianze di alcuni partecipanti alle manifestazioni e di altri, più disillusi osservatori della scena politica, comprendiamo la particolarità della situazione marocchina nello scacchiere arabo: qui la presenza della corona ha fatto da argine in qualche modo all’avanzata del blocco di potere islamista, consentendo un negoziato processo di crescita democratica che però sta lasciando sostanzialmente invariati i rapporti di forze all’interno della società. Si fa largo tuttavia la necessità di fare chiarezza sui buchi neri della storia marocchina, a partire dal periodo degli "anni di piombo".
Nel suo carattere di radicalità espressiva, pur nato apparentemente nell’urgenza (Lasri ha detto di averlo realizzato in un anno e mezzo, contro i quattro del precedente), C’est eux les chiens… conferma l’energia anticonvenzionale di Lasri, soprattutto nella parte farsesca, che presenta curiose affinità con il tunisino VHS Kahloucha. Quando invece il quadro vira a tinte più crepuscolari, il film perde credibilità sul piano drammaturgico e il partito preso estetico torna a pesare sull’economia simbolica del tutto; non mancano riferimenti diretti e non a film che come Mémoires en détention di Ferhati hanno raccontato la pagina tragica degli imprigionamenti sommari attraverso la parabola di un maestro di scuola progressista e ad altri come Youcef la légende du septième dormant che, partendo dalla figura del personaggio rimasto recluso per trent’anni, raccontano la corruzione del blocco di potere insediatosi all’indomani dell’indipendenza.
Leonardo De Franceschi | 66. Festival di Cannes
Articolo a cura di www.cinemafrica.org