"Cover-Boy, l'ultima rivoluzione", di Carmine Amoruso

Con Cover-Boy, Carmine Amoruso ha cercato di trattare il tema attuale del precariato e dell'immigrazione sotto una luce nuova ed interessante, quella del rapporto umano, virile e maliconicamente sentimentale, tra un immigrato rumeno e un precario italiano. Il film è forte di uno sguardo spesso puro e poetico, ma che purtroppo non riesce a sottrarsi del tutto alla facile sociologia.

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“Di’ ancora,” disse Lennie. “Come sarà un giorno. Avremo un pezzetto di terra…”
“Avremo una mucca,” disse George, “Forse avremo il maiale, e le galline, e in fondo alla piana avremo… un pezzo di alfalfa…”
(…) Lennie gongolò dalla felicità. “E vivremo del grasso della terra”.
“Sì”.
(John Steinbeck, Uomini e topi)

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La rivoluzione vista con gli occhi di un bambino: il piccolo Ioan vive gli ultimi giorni di Ceausescu, tra ambizioni e speranze, traumi e dolori. Il miraggio della libertà, di un mondo che si apre, troncato dalla brutalità di una morte casuale, quella di suo padre che cade sotto un colpo accidentale, sparato dalla folla in tumulto. Cover-Boy inizia in questo modo, con la contraddittorietà insita nelle rivoluzioni, che non riescono mai a mantenere tutto quello che promettono.
Anche il film di Amoruso (finito nel 2006 ma distribuito solo ora) non sempre rende onore al suo inizio: resta sospeso tra l’impossibilità di rinunciare allo spaccato sociologico – la condizione del precariato, politicamente connotata dalla voce di un comizio berlusconiano che giunge all’orecchio come l’eco di un fantasma – e la tentazione di abbandonarsi alla struggente relazione dei due protagonisti, fatta di sguardi, un’amicizia virile in cui il contatto fisico, la pulsione sessuale, sono appena accennati: Michele, un uomo delle pulizie che lavora alla stazione, è infatti malinconicamente attratto dal giovane rumeno, ma per lo più i due si aggrappano l’uno all’altro come due naufraghi, dispersi in un paese offre ormai più nulla, se non un’avvilente lotta tra poveri. Ioan viene allontanato al semaforo da un lavavetri che ne reclama l’esclusiva, Michele viene costantemente licenziato da lavori infimi perchè, a differenza degli altri, non ha una famiglia da mantenere.

Cover-Boy da il suo lato migliore proprio quando non lascia alcun sviluppo al percorso dei suoi due protagonisti: quando cioè l’occhio del regista si concentra su inquadrature dal taglio semi-documentaristico, punto di vista casuale di una tragedia quotidiana, sulla banalità della disperazione, dei sogni infranti, dell’impossibilità non di guadagnarsi il benessere, ma anche solo di garantirsi la dignità. Quando cioè i singoli gesti di Ioan e Michele sembrano avere una poesia insita nell’atto nudo, come quando sono sulla spiaggia, e i loro corpi si abbandonano ad una felicità primitiva ed ingiustificata, priva di progetti, vitale proprio perchè non deve rispondere ad altro se non alla propria evidenza. Amoruso riesce a essere efficacemente realistico con piccoli mezzi, forse adottando nella forma la stessa ingenuità con cui fa recitare i suoi due attori, appena infastiditi dagli intermezzi comici di Luciana Litizzetto nelle vesti di una padrona di casa incattivita dall'insuccesso.
Presto però i due iniziano ad esorcizzare la loro condizione cullando l’idea di poter vivere del grasso della terra – un ristorante italiano da aprire sul delta del Danubio – e il film non riesce a sottrarsi alla necessità di tracciare un percorso esistenziale. Proprio mentre Ioan deve vivere il suo trapasso nel “paese dei balocchi” della moda milanese, a cui viene iniziato dalla fotografa Chiara Caselli, Amoruso perde la purezza del suo sguardo, ritraendo l’ambiente in modo stereotipato, non riuscendo ad andare oltre la facile metafora e perdendo molto del suo fascino.

Regia: Carmine Amoruso
Interpreti: Eduard Gabia, Luca Lionello, Luciana Litizzetto, Chiara Caselli, Francesco Dominedò

Origine: Italia, 2006

Distribuzione: Istituto Luce
Durata: 97’

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