DEATH STRANDING: il bastone e la corda

Death Stranding è un’opera che serve a ricreare connessioni: Hideo Kojima riscrive le regole dell’immaginario del futuro e del gameplay, alla ricerca della condivisione che possa salvarci

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Il 13 giugno 2016, sul palco dell’evento E3 di PlayStation, Hideo Kojima tornava ad annunciare un nuovo progetto. Death Stranding è il tassello mancante tra videogioco e cinema. È innanzitutto una storia che affonda le sue radici nell’esperienza di oltre trent’anni del suo creatore. L’occasione di voltare pagina, per Kojima si è presentata dopo il suo distaccamento dalla Konami. Il taglio netto con il passato si è tradotto nella fondazione di Kojima Productions e nell’accordo con Sony, per la creazione del suo nuovo progetto, questa volta senza vincoli. Death Stranding viene presentato per la prima volta, con il lancio di un trailer. Norman Reedus interpreta il protagonista: è svenuto sulla spiaggia, lo circondano dei cetacei arenati, l’atmosfera è tetra, e mentre piange tiene in braccio un neonato che presto scompare. Delle orme nere e inquietanti si fanno strada sulla sabbia.

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Bastò questa manciata di sequenze per dare il via a speculazioni e teorie di ogni genere. Poi tre anni di domande e di attesa durante i quali periodicamente venivano rilasciati altri trailer. Nell’incredibile immaginario che fa da sfondo all’opera, la campagna del gioco, fatta di trailer cinematografici ed enigmatici ha volutamente reso l’intreccio più difficile di quanto non sia. I punti interrogativi sono stati molti, fino a che, lo scorso 8 novembre, Death Stranding finalmente è uscito.
Il gioco si è guadagnato, in Giappone, il record di copie per una nuova IP vendute nel giorno di uscita, in Italia ha raggiunto il primo posto in classifica, mentre nel Regno Unito si è aggiudicato il secondo posto, nel primo week end di apertura.
Nel 1987 usciva il primo videogioco della serie Metal Gear, la prima opera con componenti “stealth”.  Kojima allora iniziava a farsi spazio nella grande industria, è stato in quel periodo che iniziò la collaborazione con la Konami, durata dagli inizi della carriera fino al 2015, quando decise di abbandonarla.
L’impostazione della serie Metal Gear è fortemente cinematografica oltre che videoludica, e già dettava la filosofia di Kojima, fatta di simbolismo e di tematiche legate all’era post-moderna: guerra, ambientalismo, tecnologia, intelligenza artificiale, empatia, censura, libertà di scelta e politica.
L’arte autoriale di Kojima sta proprio nel rendere “diversa” l’esperienza del giocatore. Per diversa s’intende qualcosa a cui non si è abituati, che racconta e allo stesso tempo sperimenta l’esperienza stessa, il gameplay e la narrazione. Soltanto provando le sue opere ci si accorge di quanto alcune meccaniche siano state rivoluzionarie su questi aspetti
Il terzo titolo della serie di Metal Gear uscì nel 1998, ribattezzato come Metal Gear Solid: l’aggiunta dell’aggettivo “Solid”, stava ad indicare il più grande cambiamento che avveniva all’epoca nel mondo dei videogiochi: la profondità delle tre dimensioni. Il gioco era sorretto da lunghi filmati e sequenze cinematiche, motivo per cui le opinioni del pubblico di Kojima sono sempre state divise a metà.
Le vendite del gioco furono comunque molto alte, oltre 6 milioni di copie, di cui la metà vendute solo negli Stati Uniti. La fama di Hideo Kojima crebbe notevolmente nell’industria, non solo come originale innovatore di un genere, ma anche come una personalità capace di trasformare un’opera destinata ad un pubblico prevalentemente di nicchia, in un successo commerciale, in grado di connettere i gusti dell’America, dell’Europa e del Giappone.
Diciotto anni fa, con Metal Gear Solid II, Kojima trattava l’essenza dei “meme”, prima che diventassero un fenomeno di massa on-line, questa volta invece, con Death Stranding tiene a farci sapere quello che siamo diventati o quello che potremmo diventare.
L’atmosfera cupa che si è respirata in questi tre anni di speculazioni, rappresenta solo la punta di un iceberg che tenta di parlare a tutti noi e cerca di raggiungere un barlume di positività e di speranza in un futuro buio.
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Lo spiaggiamento di cetacei accade quando un cetaceo o un gruppo di cetacei si ritrova arenato sulla spiaggia: spesso muoiono per disidratazione, per l’impossibilità di sopportare il proprio peso oppure perché l’alta marea li soffoca coprendo lo sfiatatoio.
Nel mondo di Kojima, questo assomiglia proprio al fenomeno del “death stranding”, quello che ha modificato irrimediabilmente il nostro pianeta. Un evento che ha segnato l’estinzione di massa dell’umanità, tranne per alcuni sopravvissuti, divisi in gruppi e separati dalle terre ormai desolate dell’America.
Una delle minacce è il concetto stesso del passare del tempo, rappresentato dalla “cronopioggia” che cade senza sosta, accelerando l’usura delle cose e l’invecchiamento di tutti gli esseri viventi. Il problema più grande è forse quello delle CA: entità misteriose che riescono ad interagire con il mondo dei vivi e a prendersi tutto ciò che ancora non è morto. Solo dei feti umani, tenuti artificialmente in vita al di fuori del ventre materno, i Bridge Baby, se connessi ai “corrieri” possono avvertire la presenza delle CA e segnalarne la posizione.

Il protagonista, Sam, interpretato da Norman Reedus è un uomo abituato a vivere solo, lavora come corriere e il suo scopo è quello di portare avanti e indietro i pacchi, in giro per quel che ne resta del continente americano. La sua solitudine è dovuta ad una malattia che gli impedisce il contatto fisico, ed è proprio questo che restituisce ancor più il senso al vero obiettivo del suo viaggio: riconnettere l’umanità. Il paesaggio in cui ci spostiamo pare tutt’altro che post-apocalittico, la vegetazione continua a crescere e a modificarsi ininterrottamente, quindi siamo ancora circondati dal verde dei prati e dalle rocce delle montagne, ma con la sensazione di non camminare più sullo stesso pianeta.

Uno dei personaggi più iconici è quello di Fragile interpretato da Lèa Seydoux, che si aggiunge al cast insieme a Guillermo Del Toro, Mads Mikkelsen, Nicholas Winding Refn, Troy Baker e Lindsay Wagner.
Montaggio, sceneggiatura, sonoro, scenografia e performance attoriali, sono alcuni degli elementi cinematografici che si legano con i videogiochi ormai da anni, grazie all’evoluzione della tecnica Motion Capture. Ma mai come ora i volti degli attori hanno raggiunto un’espressività così iperrealistica.


“La corda e il bastone sono due dei primi strumenti strumenti usati dall’uomo. Prima Il bastone per allontanare il male, poi la corda per legare le cose importanti e tenerle vicine.”
Di solito nei videogiochi d’azione si utilizza un approccio “da bastoni”, mentre lo scopo di Kojima è rendere Death Stranding un videogioco in cui sia importante un approccio “da corde”. Durante i viaggi con Sam (sulle note di Low Roar) non ci si sente mai veramente soli. Anche se non s’incontra mai nessuno al di fuori dei personaggi del gioco, durante le lunghe passeggiate ci si può imbattere in cartelli che preannunciano pericoli, aiuti o cronopioggia, e in oggetti lasciati da altri giocatori per essere utilizzati dalla comunità dei player, grazie alla cosiddetta “rete chirale”. Una nuova tecnologia è alle porte e ci permette di adottare altre forme di comunicazione e di condivisione.
Le interazioni indirette tra i giocatori sono talmente centrali che ci si può scambiare anche il classico “mi piace”, ma questa volta per ringraziarsi a vicenda e per aiutare l’altro a salire di punteggio.
Siamo tutti collegati tramite i social e la tecnologia mobile, ma quanto siamo veramente connessi? Death Stranding è un’opera che serve a ricreare connessioni.

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