Doppia personalità, di Brian De Palma

è forse, tra tutti i film del regista, a soffrire di una discontinuità narrativa. sembra quasi un film abbozzato, in cui mancano raccordi di sceneggiatura. Stasera, ore 22.55, Premium Energy

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Poi si dice che il titolo non conta niente. Non è vero. Il film di De Palma del 1992 ha un titolo tanto chiaro, in originale, quanto multisignificante. Raising Cain potrebbe essere qualcosa come il Caino sorgente, oppure scatenando l’inferno o un putiferio. In altre parole quasi tutto quello che può accadere incontrando un personaggio come il Carter del film, tutto quindi tranne che diventare un pedissequo Doppia personalità, titolo tanto didascalico quanto poco fantasioso.
Lasciando da parte queste preliminari osservazioni, il film di De Palma non brilla certamente per finezza, tanto l’autore ci ha messo per girare una specie di manuale Doppia personalità, 1992cinematografico del perfetto schizofrenico alle prese con l’età evolutiva infantile.
Ma nonostante questa grana grossa in cui De Palma, regista solitamente finissimo, si muove in questa occasione (indizio non trascurabile), il film se assunto con la consapevolezza suggerita sin dalle prime battute, rivelerà profili affascinanti e soprattutto metodiche dello sguardo non propriamente banali per quanto apparentemente semplici. Mescolando con evidenza l’amato Hitchocock con il suo cinema passato e uno sguardo non trasversale, ma diretto, alla psicosi del voyeur che si compiace del proprio sguardo che immortala la morte, inevitabilmente riconduce il cinema ad sua natura quasi originaria, specchio fedele di un’anima mai pacificata.
Il resto per De Palma in questo film è struttura esibita e visibile, anzi più è visibile più l’autore insiste sulla sua visibilità. Tutto in Doppia personalità, nel quale l’eterno cattivo John Lithgow compie un vero e proprio tour de force interpretativo, tende alla visibilità, nulla è celato, nulla è omesso e lo spettatore, come l’autore, si ritrovano su un piano paritario di conoscenza assoluta dei fatti. È proprio questa specie di nudità esibita delle strutture, tratto comune alla cinematografia dell’autore, ma qui resa ancora più visibile, anzi visibilissima, a costituire la parte più amabile del film. Pur nella prevedibilità narrativa, assolutamente inadatta ad un thriller, Doppia

Doppia personalità, De Palmapersonalità/Raising Cain si destreggia tra gioiosi barocchismi della macchina da presa e sussulti da manuale del cinema “di paura”, conducendo il gioco tra doppie, triple ed ennesime personalità di Carter/Nix/Josh/Margo/Lithgow in un il leit motiv dove l’attore un po’ feticcio del regista diventa padrone assoluto della scena.
De Palma non è assolutamente nuovo a questo cinema che sembra frammentarsi nel suo farsi e perfino il bellissimo Redacted (2007), appartenente ad un’altra fase della sua opera, appare una specie di esoscheletro dentro il quale ritrovare il senso dell’operazione.
De Palma è forse il didatta più teorico del cinema americano. Un autore che ha sempre reinventato il genere nel quale ha lavorato, imprimendo ai suoi film una specie di originalità derivata, che risultava sempre allo stesso tempo popolare e mistificante così come in fondo il cinema dovrebbe essere. De Palma non ha mai avuto il timore di lavorare sul profilo basso della cultura, mai di affrontare il genere che gli è più congeniale (il thriller) provando magari a dirigere un film che restasse da solo nella storia del cinema mondiale, ma il suo cinema resta tutto nella storia di questa composita forma d’arte, Doppia personalitàperché fa risorgere dalle ceneri il mito, rivitalizzandolo attraverso la reinvenzione delle forme, una specie di continuo adattamento all’oggi. Ma i miti restano sempre immodificati nel loro aspetto primario.
Doppia personalità è forse, tra tutti i film del regista, a soffrire di una discontinuità narrativa, sembra quasi un film abbozzato, in cui mancano raccordi di sceneggiatura e i temi del racconto sono spiattellati senza tanti complimenti e finezze. Già dall’immagine iniziale la piega del film è evidente, Jenny, predestinata ad un desiderio sessuale insoddisfatto, si ritrova (grossolanamente) incorniciata da un banalissimo cuore in una tv a circuito chiuso. Anche l’annoso e frequente tema del voyeurismo – non è casuale il rimando a Peeping Tom – è rappresentato nei modi più semplici, dal compiacimento dell’assassinio con Carter che uccide Jenny, allo sguardo lascivo di Caino che guarda l’amplesso nel bosco di Jenny e Doppia personalità_3Jack. Ma è questo smembramento che lo avvicina ad una sensibilità quasi disturbata come l’oggetto del suo racconto. Sembra che in De Palma non debba esserci mediazione e ancora una volta come già in Vestito per uccidere (1980) sono proprio questi espedienti narrativi, lampanti allo sguardo di chiunque, a dare forma agli ingranaggi del suo universo che di film in film vediamo formarsi secondo regole chiare e facilmente comprensibili.
Aspettiamo la retrospettiva di Torino per riconsiderare il suo cinema che da sempre ha trovato la sua migliore espressione attraverso le solide fondamenta nel glorioso passato di questa storia e nella ricerca mai finita dentro la riconoscibilità delle paure e delle nevrosi, esaltando il cinema di genere e portando sullo schermo tutto ciò che altri non hanno voluto o saputo portare con altrettanta schiettezza e senso di condivisione popolare.

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Titolo originale: Raising Cain
Regia: Brian De Palma
Interpreti: John Lithgow, Lolita Davidovich, Steven Bauer
Origine: Usa, 1992

Durata: 94’
Genere: thriller

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