Efebo d’oro 2019 – Fuga, di Agnieszka Smorczynska

Fuga è un coinvolgente incubo claustrofobico che si trasforma in una seduta psicoanalitica a cielo aperto, il secondo film della cineasta dell’horror di culto The Lure

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“In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare.”
Henri Laborit, Elogio della fuga

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Arrivata all’opera seconda dopo il successo di The Lure (2015), Agnieszka Smorczynska si lascia aiutare dall’attrice principale Gabriela Muskala nello scrivere, ispirandosi a un fatto di cronaca, la storia misteriosa di una donna che ha perso la memoria e non ricorda più nulla della sua vita precedente. L’incipit è un omaggio a Possession di Zulawski: Kinga/Alicja (Gabriela Muskala) barcolla sui binari della metropolitana in forte stato confusionale, emerge dal buio di una galleria, si arrampica faticosamente sulla banchina, si accovaccia e comincia a urinare. Fuga inizia con uno schiaffo in faccia allo spettatore e continua a depistare e fuorviare per tutta la prima parte: una donna apparentemente senza passato, in preda a una aggressività aspecifica che denota abusi e violenze, viene convinta ad apparire in televisione per potere essere identificata da qualche familiare. Viene riconosciuta dal padre e riportata al marito Krzysztof (Lukazs Simlat) e al figlio Daniel (Iwo Rajski) che ne avevano perso le tracce due anni prima. La regista polacca dimostra una maturità sorprendente nel guidare la sua protagonista attraverso una condizione che dovrebbe essere familiare ed invece è estranea. Tutto il perturbante della prima parte, amplificato da una scena onirica claustrofobica che evoca fantasmi lynchiani, deriva da questa asimmetria tra la nuova identità della ragazza perduta Alicja e la visione diametralmente opposta dei familiari che la catalogano nella moglie/madre Kinga. Se in un primo momento il cinismo e la ruvidezza di Alicja sono un vero e proprio sberleffo alle regole del focolare domestico (fuma in casa, passeggia nuda, tratta il marito come un oggetto sessuale, si mostra distaccata di fronte al figlio esclamando parolacce) con il tempo viene a montare una consapevolezza di albergare al proprio interno un’anima divisa in due che è causa della fuga psicogena diagnosticata dallo psichiatra. Essere intrappolati in una vita che non si riconosce come propria crea un perenne conflitto con tutte le forme d’autorità a cominciare da quella paterna e materna. Fingere per il proprio partner un amore inesistente è un circolo vizioso e frustrante. Sulle note profetiche di Lovers are Strangers di Michelle Gurevich, Krzysztof e Alicja mimano una danza semi catatonica che è un epitaffio su una storia d’amore mai esistita.

La fotografia di Jakub Kijowski ispirata dai lavori della pittrice Aleksandra Urban e dalle opere delle fotografe Evelyn Benicova e Cristina Coral, esalta le zone oscure e regala agli interni una glacialità da sala operatoria. Una delle scene più belle del film è quella di Alicja sulla spiaggia in preda alla confusione mentale e attraversata da un vento incessante che sembra strabordare dall’inquadratura. Il senso di perdita del sé è amplificato da un tappeto sonoro che in un certo momento mima il boato di una implosione psichica. E’ qui che la protagonista ha il momento di lucidità e svela il mistero della sua vita passata, tra foto di falsi sorrisi e video amatoriali che la riprendono mentre allatta.
Presentato a Cannes nel 2018 nella sezione Un Certain Regard, in corsa a Palermo per L’Efebo d’Oro Opere Prime e Seconde, Fuga è un coinvolgente incubo claustrofobico che si trasforma in una seduta psicoanalitica a cielo aperto. Mentre tutto il mondo familiare cerca di costringere Alicya a ritornare nei pesanti panni di Kinga, quest’ultima scompare in un gesto pazzo, spezzando le ultime catene che la vogliono costringere a strisciare per terra. E in questa ennesima fuga in un futuro ipotetico da donna libera, l’importante è non voltarsi indietro.

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