FAR EAST FILM 8 – L'onta e l'impronta…

Sui muri della città si legge: "No all'invasione delle merci cinesi…". È qui la festa, dove contraddizione è contaminazione, dove l'inversamente proporzionale dei finanziamenti che si riducono e il consenso degli appassionati che cresce, è sempre più un'impronta indelebile di passione.

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Sui muri della città si legge: "No all'invasione delle merci cinesi…". È qui la festa, dove contraddizione è contaminazione, dove l'inversamente proporzionale dei finanziamenti che si riducono e il consenso degli appassionati che cresce, è sempre più un'impronta indelebile di passione. A Udine, il Far East Film è un'isola in mezzo al verde delle idee e dell'entusiasmo, è un'sola sulle cui coste trovi slogan leghisti in attrito con il cinema, è un'isola dove spira un vento ancora più estremo. Entri nel Teatro che ci ospita e subito ti lasci conquistare dalla mostra fotografica, nel foyer, dagli scatti di Johnnie To, tra i più illustri registi di Hong Kong. Sui muri del teatro, questa volta, si legge: "Girare un film è un continuo viaggio dentro la fantasia e la scoperta di se stessi. Io sento di aver iniziato solamente adesso… sia che si tratti di un film per il mercato o di un film per me stesso, ogni film che ho realizzato mi ha insegnato molto. Per me Hong Kong rappresenta uno sfondo dinamico, dove storie di ogni genere prendono vita. Sia una romantica commedia ambientata nei grattacieli del centro, o un noir ambientato di notte a Tsim Sha Tsui, o una vicenda gangster ambientata nelle limpide acque del Lei Yu mun. Girare "on location" ha aperto i miei occhi sui veri colori e sul ricco retaggio della città. Questa mostra immortala alcuni memorabili momenti del mio team di produzione". Le parole e le foto del regista squarciano anziché aprire nuovi orizzonti, portano con se la visionarietà non più del tutto mitigata dall'esistenza di chi non vuole crescere con la paura e l'odio negli occhi.

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Ricordano l'altro grande autore del Festival, ospite il primo giorno con il suo ultimo lavoro, Miike Takashi. Uno di quegli autori che non mostrano attraverso la macchina ma la macchina è lo sguardo stesso, "tritagenere", che fagocita al passaggio. È ormai un idolo tra i giovani e il giorno dopo l'attesissima anteprima europea di Imprint ha raccontato, dietro i suoi inseperabili occhiali neri, i retroscena della sua discussa opera cinematogafica. Il film, che in partenza faceva parte dei Master of Horror, presentati allo scorso Festival di Torino, è stato censurato e soppresso sulla TV americana Showtime, partner produttivo del progetto. Il regista ha voluto chiarire che "non sono state alcune scene incriminate la principale causa della censura americana, bensì la base di tutta l'opera". L'idea di fondo del film, infatti, è che ogni persona costruisce un muro davanti a sé, per nascondere segreti e paure, e per poter, quindi, avere un rapporto con gli altri; ma nello stesso sviluppo narrativo questo muro si sgretola, rivelando la porta oscura di noi stessi. Per questo motivo, le sequenze in cui si rappresenta una serie di situazioni vere, come la prostituzione o l'aborto, non disturbano per la loro asprezza, ma per il significato più profondo, non protetto dal muro.


In questo senso Miike non si considera un regista tipicamente di film horror, non intende essere etichettato (e come si potrebbe) come regista di un determinato genere. Ironicamente Miike aggiunge che potrebbe fare anche film sui cagnolini, proprio perché non esistono modelli o convenzioni da seguire, ma solo spontaneità schiettezza e sincerità. Tornando ad Imprint, che purtroppo difficilmente potremo rivedere, Miike Takashi sottolinea come abbia voluto imporre alla produzione almeno due condizioni: girare in Giappone, con un team di produzione giapponese; questo proprio perché per fare un film in America "si spenderebbe l'80% delle energie per organizzare il film e il restante 20% per girarlo…".        

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