“Fedele alla linea”. Incontro con Germano Maccioni e Giovanni Lindo Ferretti

fedele alla linea

Il regista ha presentato il suo  documentario in sala dal 10 maggio, distribuito dalla Cineteca di Bologna. E' incentrato sulla figura pubblica e privata di Giovanni Lindo Ferretti, ex leader dei CCCP, presente alla conferenza stampa insieme ai produttori Ivan Olgiati, Simone Bachini e a Claudio Coppetelli

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fedele alla lineaGermano Maccioni ha presentato, a Roma, il suo nuovo documentario, in uscita nelle sale dal 10 maggio, distribuito dalla Cineteca di Bologna. Fedele alla linea è incentrato sulla figura pubblica e privata di Giovanni Lindo Ferretti, ex leader dei CCCP, presente alla conferenza stampa insieme ai produttori Ivan Olgiati per Articolture, Simone Bachini per Apapaja e a Claudio Coppetelli, Presidente dei Cinecircoli Giovanili Socioculturali.

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Giovanni Lindo Ferretti

 Sarebbe riduttivo etichettare Giovanni Lindo Ferretti semplicemente come cantautore. Ex CCCP, ex C.S.I., ex P.G.R., Ferretti ha contribuito, grazie ai suoi viaggi in giro per l'Europa negli anni '70 e '80, a far nascere e fiorire il punk in Italia. Una voce originale, sfrontata, anticonformista che ha raccontato uno spaccato del nostro Paese con un'attenzione particolare all'impegno politico e sociale. Spesso frainteso per le sue dichiarazioni o scelte personali, Ferretti, in realtà, è sempre stato “fedele alla linea”. Con il documentario di Germano Maccioni, è ravvisabile proprio questa coerenza interiore, con un Ferretti intimo, consapevole, che ripercorre le tappe importanti della sua vita e carriera. Dalle immagini dei concerti, nelle quali riecheggiano brani come Io sto bene e Sono come tu mi vuoi, ai filmati del viaggio in Mongolia fino alla sua dimensione presente, caratterizzata dalla passione per i cavalli. Passione che l'ha portato a concepire un nuovo tipo di teatro, definito equestre, che l'artista ha sintetizzato nel suo ultimo lavoro Saga. Il Canto dei Canti.

 

 

Con una saggia regia sei riuscito costruire un documentario che sa emozionare. Sei partito dal teatro per poi approdare alla regia. Raccontaci come è avvenuto il passaggio.

Germano Maccioni: È una storia radicalmente forte. In qualche modo si trattava di raccontare l'essere nella “dopo storia”. Giovanni mi ha detto di essere disposto a parlare di cose delle quali non aveva più voglia di parlare da tempo prima ancora che glielo chiedessi io. Lì è scattata la scintilla. Saga. Il Canto dei Canti, il suo nuovo progetto, è qualcosa di veramente forte, è un'opera equestre. Ma lo sguardo su di lui, sulla sua persona ha preso il sopravvento. Quello che doveva essere Saga si è trasformato in Fedele alla linea. Sono partito da una poesia di Pier Paolo Pasolini Io sono una forza del passato che, ne La ricotta, è stata recitata da Orson Welles. Ho visto il grande potenziale del paesaggio dell'Appennino che circonda la casa di Giovanni partendo da una suggestione pasoliniana.

 

 

Parlateci del grande lavoro di ricerca del materiale.

Germano Maccioni: È stato molto bello. C'era molto su di loro ma soprattutto c'erano molte cose inedite filmate da Benedetto Valdesalici, un ex psichiatra che negli anni '80 seguiva e filmava i CCCP con dei VHS. Inoltre ci sono il film di Luca Gasparini, Tempi moderni, e le scene del viaggio in Mongolia tratte da Sul 45º parallelo di Davide Ferrario. In più ho voluto fare il tentativo di unire il cinema delle origini, ovvero il cinema di Pudovkin, con la loro musica per cercare di accostare queste due realtà.

 

Ivan Olgiati: Quando siamo partiti con il documentario non sapevamo molto bene dove stavamo andando. Poi, durante la lavorazione, tutti gli elementi a nostra disposizione si sono allineati. Dalle immagine della Mongolia a quelle dell'Archivio Nazionale Film di Famiglia che si occupa di recuperare vecchi filmini in 8mm per digitalizzarli e archiviarli. La maggior parte di queste immagini non erano mai state utilizzate in nessun altro formato audiovisivo. A questo documentario hanno lavorato moltissime persone che avevano avuto modo di conoscere Giovanni nel 2002 a Bologna, dove aveva fondato la Bottega di musica e comunicazione, il cui scopo era quelli di insegnare un mestiere inerente al mondo dell'audio, del video e della parola.

 

 

Dal documentario esce un Giovanni che fa commuovere, intimo, del quale non avevamo avuto modo di conoscere questo aspetto.

Giovanni Lindo Ferretti: Ho permesso loro di entrare nella mia casa e di farmi delle domande che non avevo permesso mai a nessuno di farmi. Non ho fatto tagliare neanche una parola, neanche quelle sbagliate. Questo documentario mi appassiona, non perchè parla di me, ma per le immagini meravigliose. La mia montagna mi entusiasma. Germano è entrato in una dimensione della mia vita molto intima.

 

 

Il documentario è un racconto per immagini e per musica. La scelta dei brani si incentra sul periodo dei CCCP, mentre quella deiC.S.I. è marginale e non c'è nulla dei P.G.R. Come mai?

Germano Maccioni: Ho inserito i pezzi che servivano alla narrazione e che piacevano a me. Non volevo che fosse un film biografico né musicale. É anche vero che relazionarsi con le case discografiche è difficile e costoso, ma non potevo parlare di Giovanni e farlo parlare senza la sua musica.

 

 

Giovanni perchè hai deciso di raccontarti così liberamente?

Giovanni Lindo Ferretti: Per certi versi mi sento il committente di questo film. Sono andato dai miei vecchi ragazzi di Bottega a chiedergli se erano interessati a raccontare il mio nuovo progetto Saga. Il canto dei Canti. Hanno accettato subito. Dopo aver creduto che non avrei fatto più niente, ho avuto questa volontà di fare questo teatro montano epico e volevo che qualcuno lo raccontasse. Non avevo bisogno di raccontare di me ma di raccontare del teatro equestre. Ho questo interesse concreto per il quale sono disposto a raccontarmi.

 

 

Come hai vissuto le critiche sulla tua fede ritrovata?

Giocanni Lindo Ferretti: Credo che lo stupore sia un tratto essenziale della mia vita. Qualche anno fa scrissi un libro “Reduce”. Lo scrissi per me, senza pensare di pubblicarlo. Non credevo che questo mio “tornare a casa” avrebbe fatto così scalpore. Mi sono semplicemente reso conto che aveva ragione mia nonna, una donna illetterata e montanara, rispetto a tutti i maestri di vita contro i quali mi sono imbattuto. Tutto quello che mi è stato detto mi lascia del tutto indifferente. La mia immagine pubblica prevede che la gente possa dire ciò che vuole, ma a me non riguarda. Ognuno è libero di pensare ciò che vuole. Penso solo che, rispetto a tutte le chance che ho avuto nella vita, questa è quella che più mi da soddisfazione.

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