FESTIVAL DI ROMA 2008 – "Summer", di Kenneth Gleenan (Alice nella città)

summer di kenneth gleenan, festival di roma 2008Summer è senza dubbio un film intenso, dove l'estate ritorna come un luogo di innocenza a cui la vita ha lasciato solo lo spazio del ricordo. I due spazi con cui Gleenan divide il film non sono mai separati: da una parte il tono elegiaco del passato è già corrotto dal destino incombente, dall'altra il crudo realismo alla Loach del presente prevede malinconiche deviazioni ed intermittenze del cuore. Domina su tutto l'interpretazione di Robert Carlyle, volto popolare di un'Inghilterra suburbana, sconfitta in partenza, sospesa tra la vitalità e un disperato desiderio di autodistruzione.

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summer di kenneth gleenan, festival di roma 2008Nel suo squallido appartamento di un sobborgo inglese, Shaun dorme in una stanza sporca e malmessa. In qualche zona della casa – probabilmente ubriaco, collassato davanti alla televisione – c’è il suo amico Daz, costretto da un incidente su una sedia a rotelle e ormai condannato a non più di qualche settimana di vita dalla cirrosi e dal diabete. E’ in questo momento che sogna la luce accecante del sole e i riflessi di un lago, le mani ancora innocenti di Kate, la sua vicina di casa, che all’epoca aveva ancora dodici anni, come lui. Lei esce dall’acqua ed entra nel buio della sua camera. “Va tutto bene, Shaun… Sono io…" e lo bacia mentre dorme e la rimpiange, bagnandogli la faccia di quello che in realtà è solo sudore.
Non è la prima volta che l’estate e il lago si presentano come luoghi metaforici di un passato ormai perduto, irraggiungibile nella sua purezza: nella letteratura e nel cinema americano, ad esempio, sono un topos ricorrente, quasi sempre associato ai candidi – ma già inquieti – anni cinquanta. Trapiantato nel contesto del cinema inglese, quello che è anche il tema portante di Summer assume dei toni sospesi tra il ricordo elegiaco di una sessualità appena scoperta e un realismo crudo, debitore in molti punti del cinema di Ken Loach. Il regista Kenneth Gleenan – vincitore a Locarno con Yasmin nel 2004 – punta tutto su due spazi mai del tutto separati, che si incastrano nel definire una sorte sui cui non si può intervenire. La forza del film è quindi nel gioco dei salti temporali tra presente e passato, diviso in modo astuto tra interni bui e poveri, pieni di un realismo popolare, e gli spazi aperti del lago, di un giardino dell’Eden sottilmente già corrotto da una sorte incombente (Shaun ha dei ritardi di apprendimento, Kate è destinata a diventare un avvocato), di scelte che lasceranno cicactrici mai più rimarginate. Summer poggia inevitabilmente sulla grande interpretazione di Robert Carlyle, capace di reggere il peso di un personaggio sconfitto – povero ed analfabeta, perso nel ricordo di una donna svanita per sempre – eppure ancora vitale: senza mai eccedere, l’attore si concede solo una volta ad un pianto sommesso, per altro ripreso in rispettosa lontananza. Il film che ne viene fuori è forse schematico, nel suo svolgimento, ma comunque intenso: la terra delle intermittenze di Shaun ha la giusta dose di malinconia e di genuinità, e Gleenan non ha certo timore si sporcarsi le mani nel ritratto di persone a cui la vita non ha dato speranze (Carlyle che risolleva il figlio adolescente di Daz da una pozza di vomito, dopo che è stato pestato in una rissa tra ubriachi), indecisi tra l’autodistruzione o il desiderio di ricominciare da capo nella loro umiltà.

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