Si potrebbe considerarlo come un coraggioso tentativo di innovare il genere della ghost story orientale, ormai disperso nel vortice delle infinite variazioni sul tema del Ring di Hideo Nakata, oppure come un esercizio di stile sulla pratica di mescolare i generi, parimenti tipica del cinema orientale: di certo è alquanto particolare questo Silk (in originale Guisi), film taiwanese di Chao-Pin Su, qui al suo secondo lungometraggio. Un Horror, dunque, che trascolora nel melodramma attraverso l'analisi dei rapporti che legano il mondo dei vivi e quello dei morti, e degli interessi che muovono i pur scientifici presupposti del lavoro di alcuni indagatori dell'occulto: protagonista della vicenda, infatti, è un'equipe di studiosi di varia nazionalità, la cui invenzione, il "Menger Sponge" permette loro di catturare l'energia e imprigionare in tal modo lo spirito di un bambino defunto. Il capo del team, il giapponese Hashimoto, intende usare l'invenzione per capire come diventare egli stesso un fantasma, si' da liberarsi dai dolori e dai doveri cui costringe la condizione di vivente. Ad aiutarlo è il poliziotto Ye, turbato dal tentato suicidio della madre, e per il quale l'esperienza a cavallo tra reale e soprannaturale servirà per meglio capire i tenui eppure fortissimi legami che spingono gli uomini a desiderare la morte pur amando la vita. Chao-Pin Su non è nuovo al genere, aveva infatti già scritto Double Vision di Kuo-Fu Chen e Going Home di Peter Chan e in questo caso dimostra di voler narrare una storia che spazia tra stili difformi: oltre al già citato connubio horror-melodramma, comunque non nuovo nel genere, vanno infatti segnalati alcuni inserti d'azione, non considerando anche il presupposto fantascientifico che un'invenzione come il "Menger Sponge" inevitabilmente pone in essere, amplificando l'effetto spiazzante dell'insieme.

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L'aspetto più interessante pare comunque quello visivo, non a caso la pellicola ha ricevuto il premio al Golden Horse Film Festival 2006 per gli effetti speciali: che non stupiscono tanto per la loro resa, ma per la capacità di porsi a metà strada tra l'evidente inverosimiglianza di alcuni particolari e la reinvenzione dello spazio visivo nel quale umano e sovrannaturale si pongono sullo stesso livello. E' in fondo il presupposto stesso della storia, che tenta di non disperdere il potenziale orrorifico della ghost story, ma nello stesso tempo sfrutta gli elementi razionali forniti dalle invenzioni fantascientifiche per agevolare una relazione ordinata con l'aldilà. Silk è dunque un film sulla comunicazione, sulla difficoltà insita nel capire un universo lontano che non è soltanto quello degli spiriti, ma pîù in generale dei legami affettivi, di quella zona intermedia in cui amore e odio spesso si fondono e confondono rendendo difficile tracciare una linea di demarcazione. L'aspetto di pura detection dunque diventa funzionale a tale scoperta, ma il film inevitabilmente non riesce a risparmiare incongruenze narrative: colpa anche di uno stile che, nell'enfasi portata da una regia ariosa e curata (i movimenti di macchina sono ampi ed eleganti) non risparmia un ossequio eccessivo verso le strategie del "colpo di scena", rovesciando le prospettive in più occasioni sino all'inevitabile disperdersi della tensione.