"Harry Potter e il Principe Mezzosangue", di David Yates
Spettatore, più che attore. Harry Potter appare così. Sempre alla finestra, discosto, una sorta di testimone impassibile del gioco degli eventi. Le emozioni si agitano in altri angoli dell’inquadratura e il cuore della vicenda batte altrove, nel fuori campo magari. E il film appare come la spoglia e triste sala d’attesa di una stazione. Attendiamo che il viaggio si compia e l’eroe si mostri, definitivamente
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A un passo dalla fine. La storia continua a tessere le sue trame segrete, ma comincia finalmente a intravedersi il disegno, l’ordito complessivo. Resta un solo atto, o meglio due, perché si giunga al compimento. Sarà lo stesso David Yates (che ha già diretto il precedente Harry Potter e l’Ordine della Fenice) a portare sul grande schermo Harry Potter e i Doni della Morte, ultimo capitolo della fortunata saga di Joanne Kathleen Rowling. Un film in due parti (la prima è annunciata per il novembre del 2010, la seconda è prevista per luglio 2011), dove si combatterà la battaglia definitiva tra il bene e il male. E, in vista dell’epilogo, questo Harry Potter e il Principe Mezzosangue si offre come una tappa di avvicinamento, una lenta e faticosa preparazione. L’attesa della fine. Nessun’altra frase potrebbe spiegare meglio le motivazioni intime di questo sesto atto. Il nostro “eroe” non entra in scena. E’ seduto al bar della stazione, legge il giornale e aspetta che smonti la bella cameriera. Il suo maestro lo chiama e la bella se ne va. L’eroe è fermo ad attendere che le cosa accadano. Spettatore, più che attore. Harry Potter appare così. Sempre alla finestra, discosto, una sorta di testimone impassibile del gioco degli eventi. Le emozioni si agitano in altri angoli dell’inquadratura e il cuore della vicenda batte altrove, nel fuori campo magari. Potter osserva i ricordi e il vissuto altrui e non sembra (ri)vivere. Chiude gli occhi e diventa ‘vittima’ di un bacio, di una passione esterna, aliena. Osserva il suo maestro cadere senza muovere un dito, osserva i tormenti d’amore dei suoi amici e tace. Bloccato nell’incapacità di diventare protagonista, appare come un incidente del tempo e del caso, un inerte punto dell’universo in cui si incrociano le vite e i destini dei cento, mille personaggi che si muovono intorno. Nelle mani e negli occhi di Yates, la saga di Harry Potter non è più un romanzo di formazione, in cui il bambino si fa uomo e si scopre centro e motore del proprio mondo. E’ una specie di lento romanzo di tras-formazione, in cui il ‘presunto’ eroe è l’oggetto inerme di altre energie vitali, di altre arcane e meravigliose magie. E’ per questa strana, irritante passività che Harry Potter è incapace di smuovere i nostri sentimenti e la nostra passione. Guardarlo, scrutarne i gesti, è come guardare alla persona che è seduta là in fondo, nel buio della sala. Ci lasciamo affascinare da altro: la generosità di Silente, l’oscura ambiguità di Severus, il mostruoso sogno d’eternità di Voldemort, la tenera e infantile gelosia di Hermione, l’umana vigliaccheria di Lumacorno. Per il resto, Harry Potter e il Principe Mezzosangue è proprio come la spoglia e triste sala d’attesa di una stazione. Attendiamo che il viaggio si compia e l’eroe si mostri, definitivamente. E ci lasciamo cullare dal sogno di essere finalmente scossi dal fremito, dallo slancio decisivo di un cinema che rimetta in moto il battito aritmico della vita.
Titolo originale: Harry Potter and the Half-Blood Prince
Regia: David Yates
Interpreti: Daniel Radcliffe, Emma Watson, Rupert Grint, Helena Bonham Carter, Michael Gambon, Jim Broadbent, Alan Rickman, Bonnie Wright
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Durata: 153’
Origine: Gran Bretagna/USA, 2009
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