"Il cinema? Un modo di vedere il mondo. Esattamente come l'amore…" – Intervista a Lee Chang-Dong, regista di "Oasis""

L'idea di base di Oasis ruota attorno al concetto di comprensione reciproca: si tratta di capire qualcuno che al primo impatto è lontano da noi, disgustoso, e con cui è difficile simpatizzare"

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La scelta di impostare "Oasis" come un melodramma, cioè di raccontare la realtà di due disabili attraverso una storia d'amore, nasce dall'intenzione di rendere più vicina l'esperienza dei due protagonisti alla sensibilità del pubblico medio?

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La scelta di utilizzare due disabili come protagonisti del mio film non dipende tanto dall'intenzione di descrivere la loro situazione, quanto dal bisogno di puntare sul fatto che si tratta di due persone "sgradevoli" secondo il sentire comune e dimostrare quanto sia difficile amare e sentirsi vicini a delle persone "brutte". Perciò ho scelto quel particolare tipo di handicap per la donna, perché la rende particolarmente sgradevole alla vista, mentre per l'uomo si tratta di un handicap psicologico prima ancora che fisico: per una donna non avere la bellezza e per un uomo essere privo di abilità sono due ovvie caratteristiche di abbrutimento agli occhi della società.


Sicché l'aspetto dell'essere disabili rende evidente allo spettatore quanto sia difficile essere amati ed accettati quando vengono meno i concetti che tradizionalmente sono alla base dell'amore. Perché l'amore è un processo di profonda comprensione reciproca fra due persone che tutto il resto del mondo non può capire. L'idea di base del mio film ruota dunque attorno al concetto di comprensione reciproca: capire qualcuno che al primo impatto è lontano da noi, disgustoso, con cui è difficile simpatizzare e che è difficile da comprendere… Capirlo per dividere con lui un'esperienza.


Come è arrivato all'idea di situare il racconto in bilico tra realtà e fantasia?


Non so bene quando ho pensato di sviluppare il soggetto in questa maniera. Credo che il cinema rappresenti un modo di vedere il mondo, esattamente come l'amore. Sono partito dall'idea di un'oasi intesa come uno squarcio di fantasia nella realtà, un'oasi nel deserto dell'esistenza che ogni viandante percorre. Ma alla fine il significato di quell'oasi si riduce soltanto a un quadro da quattro soldi su un muro…

La sua critica della famiglia coreana è incredibile: la famiglia di Gong-ju la tiene rinchiusa tutto il giorno in casa, quella di Jong-du, invece, non gli è mai di supporto e anzi finisce col lasciarlo tornare in galera. Come ha reagito il pubblico coreano a una rappresentazione così poco edulcorata di un'istituzione come la famiglia, tanto importante nel suo paese?


In realtà dipende dalle singole famiglie. Non credo che la famiglia sia un modello unico e particolare, come un club. Quella che dipingo io è una famiglia che potrebbe essere coreana tanto quanto americana o europea. A volte il pubblico, dopo la visione del film è offeso dal modo di trattare la gente mostrato dalle famiglie dei due protagonisti. Ma allo stesso tempo, molta di quella rabbia è diretta in realtà verso loro stessi, perché riconoscono loro stessi nella famiglia sullo schermo… E così, quando io addito la famiglia, trovo un modello di quella famiglia anche in me stesso e in media anche nelle persone che mi circondano. In fondo non era mia intenzione tratteggiare dei personaggi molto lontani dalla realtà…



Come lavora con gli attori?


Dal momento che i miei film sono incentrati sui personaggi, la cooperazione con gli attori è molto importante. In questo film è stato molto complicato ottenere ciò che volevo perché i ruoli erano davvero difficili. E non solo perché si tratta di personaggi con cui il pubblico non può relazionarsi facilmente, ma anche perché gli stessi personaggi rappresentano quanto di più lontano un attore possa voler essere. Questo è vero soprattutto per Moon So-ri, la protagonista, che ha accettato di interpretare un tipo di donna che nessuna attrice vorrebbe essere! Quando dirigo gli attori, comunque, cerco di non fargli recitare il ruolo, ma di farglielo vivere, respirare. In questo caso, del resto, era particolarmente importante che si arrivasse a ciò.


(Intervista realizzata a Venezia nel settembre del 2002, in occasione della presentazione di "Oasis" alla 59.ma Mostra Int.le d'Arte Cinematografica. Trascrizione e traduzione a cura di Davide Di Giorgio)

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