Il principe cerca moglie, di John Landis

Commedia figlia dei fortunati anni ’80, che afferma la libertà autoriale assoluta di Murphy che da qui inizia a deformare il suo corpo a tante stravaganti trasformazioni. Stasera, ore 21:20, Italia 1

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Con Il principe cerca moglie si compie ogni volta un salto indietro nel tempo a un periodo felice, un’età dell’oro generazionale e non solo; in cui fa capolino Eddie Murphy con la sua inconfondibile risata bonaria, profonda e prolungata, segno peculiare di quanto il doppiaggio possa apportare: Tonino Accolla ha fatto propria la vis comica dell’attore, spingendosi un po’ oltre e ridefinendo i contorni di un immaginario che rimarrà idealizzato in eterno. Come i fondali dipinti che raffigurano il prospero regno di Zamunda, un nome dal suono incantato, quasi fuori dal tempo, che ricorda l’isola di Nabumbo, anch’essa popolata da animali esotici. Siamo chiamati ad assistere a una favola, una delle più classiche in effetti, con il principe che rifiuta di sposare qualcuno che nemmeno conosce e che decide quindi di mescolarsi tra la gente comune per trovare il vero amore. Lo scenario si sposta presto a un contesto urbano – Coming to America è il titolo originale – precisamente al quartiere popolare del Queens, dove il ventunenne erede al trono e il suo amico servitore (Arsenio Hall) si spoglieranno dei loro abiti regali per indossare i panni di poveri studenti universitari.

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Una storia che, se ricalca fedelmente uno schema antico e collaudato, è vicina anche ad altri film diretti da Landis: Un lupo mannaro americano a Londra e Una poltrona per due, due favole che mettono in scena in forme e modalità diverse una metamorfosi, una trasformazione, un’inversione di ruoli tra loro apparentemente antitetici – l’uomo e la bestia, il ricco e il povero – in realtà molto assonanti. Bisogna però precisare che il progetto porta la firma di Murphy, sia per quanto riguarda il soggetto che la casa di produzione: negli anni ’80 l’attore aveva raggiunto in tempi record un successo smisurato guadagnando una voce considerevole e contribuendo all’affermazione di un modello di comicità, nato da quella fucina televisiva che è il SNL. Restano ovviamente tracce del cinema di Landis, che il regista sparge qua e là in un gioco a due con il pubblico. Il linguaggio, tuttavia, nella sua rappresentazione verbale e fisica, è indiscutibilmente figlio di Murphy e dei suoi sketch primordiali, condotti alla stregua di un esperimento sociale, una satira sovversiva che sbaraglia questioni politiche e culturali e che rimarca una libertà autoriale assoluta.

Ogni cosa appare sopra le righe: dall’immagine di un’Africa sfarzosa da mille e una notte all’America stessa, qui riprodotta in scala, con le sue convenzioni, i suoi vezzi, i suoi modelli e stili di vita che vengono replicati senza pudore alcuno – “la loro sigla sono due archi d’oro, la mia due collinette d’oro”, dice il signor McDowell (John Amos). E le copie si rincorrono, raggiungono finanche l’arte, appesa alle pareti di casa McDowell. Eppure il sogno americano e i valori alla sua base non sono mistificati. Non c’è cinismo né condanna, ma puro divertimento. E la serie di personaggi interpretati da Murphy e da Hall, tra cui torna l’uomo bianco, questa volta ebreo, rilanciano proprio il carattere corporeo della comicità, quella struttura cumulativa che tende all’eccesso, e che fa deformare i corpi sottoponendoli a un’altra stravagante trasformazione. Che sembra essere infinita.

Titolo originale: Coming to America
Regia: John Landis
Interpreti: Eddie Murphy, Arsenio Hall, James Earl Jones, Shari Headley, John Amos, Madge Sinclair, Cuba Gooding Jr., Ralph Bellamy
Durata: 116’
Origine: USA, 1988
Genere: commedia, sentimentale

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
2.67 (3 voti)
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