Il rito, di Mikael Håfström

anthony hopkins il rito
Mikael Håfström ha ampiamente dimostrato la sua abilità di mestierante, prima nella natia Svezia e poi in terra hollywoodiana con Derailed e 1408, ma per “riscaldare l’inferno” il mestiere non basta. Come anche non riesce a riscattare le sorti del film la presenza di Anthony Hopkins che, con il suo sinistro Padre Lucas pluriesperto esorcista dal fare gigionesco, si limita a riproporre l’ennesima variazione sul tema di Hannibal Lecter
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il rito anthony hopkinsRimanete saldi nel Signore, ha scritto Paolo nella sua lettera ai filippesi. E’ il dramma di Michael Kovac, che cerca nella Fede solo una via di fuga dalla morte e s’incammina sul sentiero del sacerdozio non per vocazione ma per disperazione. L’alternativa, rifiutata da Michael, alla carriera ecclesiastica è farsi strumento della volontà del padre (un Rutger Hauer in un ruolo sprecato) e continuare a servire la morte nell’impresa funebre di famiglia. Ma il rapporto dell’uomo con la Fede, che si risolve paradossamente proprio grazie ad un Diavolo ben poco astuto rispetto ai suoi predecessori cinematografici – è difatti l’ostinata volontà di Baal di voler convincere il nostro protagonista a credere nel Principe del male a fornire al giovane la prova inconfutabile dell’esistenza di Dio – è un terreno subito abbandonato da Mikael Håfström che, per adattare sul grande schermo l’omonimo libro di Matt Baglio, preferisce la più rassicurante e anche scontata scorciatoia dei ritrovati pirotecnici sfornati in serie dal genere demoniaco. Se l’incipit tormentato, dove Michael, catapultato dai disegni imperscrutabili della Provvidenza nella capitale del cattolicesimo, si trova a fare i conti non solo con lo smarrimento di Dio, ma anche e soprattutto con i demoni che popolano il suo passato, lasciava sperare in un superamento dello stereotipo o, quantomeno, in una sua originale rivisitazione, Il rito finisce invece ben presto per mostrare la sua vera natura. Lasciati da parte i buoni propositi, secondo gli insegnamenti di Dominion (ovviamente senza la complessità dell’indagine teologica di Paul Schrader), di rinunciare alla spettacolarizzazione della possessione, così come abbandonati tutti i dubbi sulla veridicità delle perfomances degli indemoniati, poco dopo l’incontro di Michael con il suo primo corpo, per di più in dolce attesa, da esorcizzare, Håfström si dimentica dell’atmosfera tesa e raccolta dell’inizio del film per sfoggiare un polveroso e chiassoso campionario di trucchi. Ecco dunque che la battaglia spirituale combattuta da Michael contro se stesso e contro l’idea che alle fondamenta di tutto ci sia solo dolore, viene barattata con l’immediatezza vuota del colpo ad effetto. E come se non bastasse, l’interrogativo sull’impotenza della religione di lenire l’angoscia esistenziale dell’individuo viene risolto in una sbrigativa seduta terapeutica autopraticata da Michael che, proprio mentre si confronta con un esorcismo, trova il tempo di rievocare i conflitti interiori rimossi e, finalmente, si purga del suo scetticismo. Mikael Hafstrom ha ampiamente dimostrato la sua abilità di mestierante, prima nella natia Svezia e poi in terra hollywoodiana con Derailed e 1408, ma per “riscaldare l’inferno” il mestiere non basta. Come anche non riesce a riscattare le sorti del film la presenza di Anthony Hopkins che, con il suo sinistro Padre Lucas, pluriesperto esorcista dal fare gigionesco che si divide il palcoscenico con uno spaesato Colin O’Donoghue, si limita a riproporre l’ennesima variazione sul tema di Hannibal Lecter.
 
Titolo originale: The Rite
Regia: Mikael Håfström
Interpreti: Anthony Hopkins, Colin O’ Donoghue, Alice Braga, Rutger Hauer, Toby Jones, Ciarán Hinds 
Origine: USA, 2011
Distribuzione: Warner Bros.
Durata: 112′
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