Incontro con Francesco Munzi. L’utilizzo innovativo dei generi. PARTE 2

Ecco la seconda parte del nostro incontro col regista di Anime nere che si è svolto a Roma lo scorso 3 dicembre presso la sede di Sentieri Selvaggi

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La seconda parte dell’incontro di giovedì 3 dicembre con il regista Francesco Munzi, mediato dal direttore del webmagazine Simone Emiliani  presso la sede di Sentieri Selvaggi, si è svolta approfondendo principalmente le influenze e l’utilizzo innovativo del genere portato avanti in Anime Nere, il cui enorme successo internazionale ha premiato il linguaggio al contempo personale ed universale del regista romano.

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– La nascita di Anime Nere:

Anime Nere parte dal libro di Gioacchino Criaco, ma è completamente diverso. Noi abbiamo proseguito la storia, abbiamo creato un sequel, infatti il film parte dalla fine del libro, il che è stato utile per gli attori, perchè in questo modo avevamo uno sfondo per i personaggi, sapevamo qual’era il loro passato, che nel film resta come sfondo.

– Perché la scelta di far morire il fratello interpretato da Marco Leonardi (Luigi) all’inizio del film, nonostante si fosse creata complicità con lo spettatore?

Bisognava sacrificare uno dei fratelli, e ho preferito sacrificare il “cattivo”. Quasi tutti i film recenti creano empatia verso i personaggi negativi, utilizzano meccanismi grazie ai quali lo spettatore simpatizza per persone orrende, ed era proprio quello che io non volevo fare. Nel mio film volevo creare empatia per Luciano (Fabrizio Ferracane) il fratello “buono”, nel quale anche io mi sono identificato maggiormente.

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– Scena del pranzo in cui si tentano di costruire le alleanze costruita benissimo. Grande tensione, come si crea?

In questa scena i personaggi pensano A, dicono B e fanno C. La tensione nasce dal fatto che tutto è giocato su vari livelli,  è basata sul fatto che osserviamo due famiglie che storicamente si odiano, e si trovano in una tavolata dell’ipocrisia. C’è la creazione di una ritualità con sentimenti forzati, tra i quali vediamo il vecchio prepotente capo famiglia di un clan nemico, che accetta un’alleanza solo perchè vuole la droga di Luigi, e tutti partecipano a questa beffa. L’unico personaggio che la contesta, che come ho detto è il mio personaggio favorito, è quello di Luciano, non gli va bene nemmeno il primo livello di ipocrisia. Dietro a quella scena c’è un grande lavoro di scrittura e recitazione. Era difficilissima, le tavolate sono molto complesse da fare, e tutto poggiava sulle spalle degli attori, perchè era tutto un gioco di sguardi. In quella scena gli sguardi dei personaggi dicono il contrario delle parole, seguono il sentimento reale. D’altronde il mio insegnante ai tempi del Centro Sperimentale è stato Gianni Amelio, e lui sottolineava sempre di come non bisognasse occuparsi tanto dei movimenti di macchina, quanto del “sentimento della scena”, ossia dell’importanza della scrittura e della recitazione. Se si hanno quegli elementi, diceva, per girare a quel punto si può chiamare anche la sarta. La scena del pranzo quindi ha funzionato perchè era ben scritta in sceneggiatura, e perchè è stata ben recitata.

– Quali sono stati i modelli per Anime Nere?

Visto il tema affrontato, sono partito terrorizzato dai possibili paragoni con altri film. Ma anche Coppola per Il Padrino ha ripreso dalla tragedia greca, ed ha saccheggiato Shakespeare, specialmente Macbeth e Re Lear. Volevo schivare i modelli, ma spesso gli amori cinematografici tornano, vengono riproposti in maniera inconscia. Il finale è stato paragonato a The Funeral (Fratelli) di Abel Ferrara, ma è stato un modello inconsapevole, alla fine è risultato un punto forte, ma ci sono arrivato in maniera naturale e inaspettata. Per il mio film il finale è stata una delle scene più dibattute, erano tutti contrari, Anime Nere è stato girato in una cittadina dell’Aspromonte, e tutto il paese mi era contro, da bravi calabresi erano per la guerra, per la vendetta. Però alla fine è piaciuto a tutti. C_4_foto_1194181_image

Altro elemento di genere – la creazione della suspense nella scena della morte di Luigi –  che al contrario di molti film americani ci mostra come è facile morire, negando la figura dell’eroe intoccabile. In questo il film sembra più un thriller che un ganster movie. 

Creare la suspense era un meccanismo già deciso durante la stesura della sceneggiatura, una volta l’utilizzo di “un trucco” mi avrebbe creato dei dubbi, ma mi ha convinto l’idea di lasciarmi un po’ andare al senso dello spettacolo, all’ unione di intrattenimento e verità. Non volevo lo stereotipo di molti film di genere, ma volevo un pò di divertimento, ho fatto una cosa che non avrei mai fatto nei miei film precedenti.

– Quanto contano oggi i festival per il successo al cinema?

I festival sono importanti ma non tutelano del tutto il film, insomma aiutano ma non portano gente in sala. Anime Nere ha riscosso un grande successo a Venezia, ma non ha vinto nulla, e ciò nonostante ha avuto un enorme successo internazionale, ha girato il mondo, è stato esportato in 19 paesi, anche negli USA.

– Perchè la scelta di Giungla d’asfalto (The Asphalt Jungle – John Huston) come film da proiettare?

Avevo in mente anche altri film, come Mystic River, Fargo o Il Mucchio Selvaggio, ma alla fine ho preferito The Asphalt Jungle perchè – a proposito dell’utilizzo innovativo del genere- riprende un tema trattato mille volte, ossia il “grande colpo”, ma lo fa in maniera straordinaria, lontanissimo dallo stereotipo. Nel film di Huston ci sono molti elementi di forte interesse, c’è la tragedia, la solitudine. Per me è uno dei film più importanti della storia del cinema.

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