Karlovy Vary 42 – Slittamenti amorosi

the-art-of-negative-thinkingDa venerdì scorso la cittadina termale (ex Carlsbad) nel cuore della Repubblica Ceca ospita la nuova edizione di uno dei festival più importanti del mondo, che sa coniugare come pochi altri eventi mondani d’alto livello e partecipazione giovane, bivaccata, che si nutre a tutte le ore di un programma che condivide il cinema di richiamo d’essai-mainstream e le opere di ricerca, sperimentali e sconfinamenti retrospettivi. Da segnalare l’opera prima norvegese Kunsten å tenke negativt (The art of negative thinking), scritta e diretta da Bård Breien

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Strada a doppia corsia Karlovy Vary numero 42. Da venerdì scorso la cittadina termale (ex Carlsbad) nel cuore della Repubblica Ceca ospita la nuova edizione di uno dei festival più importanti del mondo, che sa coniugare come pochi altri eventi mondani d’alto livello e partecipazione giovane, bivaccata, che si nutre a tutte le ore di un programma che condivide il cinema di richiamo d’essai-mainstream e le opere di ricerca, sperimentali, gli eventi di mezzanotte (compresi capolavori recenti come Hostel II di Eli Roth e Grindhouse di Quentin Tarantino) e i documentari poetico-politici, le novità dell’Est Europa (compresa una selezione della produzione ceca dell’anno) e sconfinamenti retrospettivi per scoprire quanto sono ancora giovani e rivolti al futuro i film della New Hollywood (da American graffiti a La rabbia giovane, da La conversazione a L’ultimo spettacolo, da Mean streets a quel film-faro che è Strada a doppia corsia di Monte Hellman…), l’omaggio a William Wyler (con tre sue opere di fine anni Trenta-inizio anni Quaranta: Jezebel, The letter, The little foxes) e il focus sul nuovo cinema italiano (con nove lungometraggi realizzati fra il 2004 e il 2007 più Saturno contro di Ferzan Ozpetek, invitato nella competizione principale)… Il cartellone è fitto, come sempre, e messo a punto nei dettagli dalla direttrice Eva Zaoralova e dal suo staff.

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arsinee-khanjianTra i lungometraggi d’inizio festival in gara per ricevere il Grand Prix-Crystal Globe, il premio più importante (della giuria, presieduta dal critico di Variety Peter Bart, fanno parte anche Daniele Gaglianone, che nel 2005 presentò al KVIFF Nemmeno il destino, e l’attrice armena-canadese Arsinée Khanjian, presenza indelebile di molti film del marito Atom Egoyan, e non solo) da segnalare l’opera prima norvegese Kunsten å tenke negativt (The art of negative thinking), scritta e diretta da Bård Breien attorno a un argomento difficile (la quotidianità di un gruppo di handicappati) che nei suoi dialoghi e nei suoi sguardi, e con la complicità di un cast eccellente, assume l’intensità di un intimo, dolente, sensuale percorso di ricerca inscritto nella cifra del tragico e del comico, mai fuori luogo, senza mai disperdere la tensione narrativa, anzi sempre accrescendola delle tinte di uno psicodramma d’interni che è profondo, fisico lavoro sullo spazio: degli ambienti e dei corpi, di chi deve reinventare i propri movimenti o di chi, non colpito dalla malattia, si trova comunque a dover rimettere in gioco la propria mobilità. Bisogna partire, ci dice uno dei personaggi,7484-the-art-of-negative-thinking Geirr (che ama i film di guerra, da Apocalypse Now a Il cacciatore, e Johnny Cash), non dal pensare positivo, come vorrebbe imporre l’assistente sociale che li sottopone a terapie di gruppo per superare i traumi, ma dal suo contrario, dal pensare negativo, perché solo da lì, dopo essersi specchiati sul baratro (finta roulette russa in una scena che rende sincero omaggio al film di Michael Cimino, compresa), si può ricominciare a muoversi. Sta lì il (primo) passo positivo da compiere. Bård Breien racconta i suoi personaggi con camera a mano sui volti e i corpi o sui totali, e con carrelli, dolly, primi piani quasi a tutto schermo (in panoramico) disegna gli stati d’animo (amore, rabbia, impotenza, ribellione…) che abitano quelle donne e quegli uomini di età e vissuti intimi differenti. Un film sugli stati dell’amore, Kunsten å tenke negativt, sugli slittamenti amorosi, sul margine che separaunisce campo e fuoricampo, disperazione e respiro, modulati da uno sguardo complice che osserva desiderante, emozionato, mai didascalico, mai morboso.

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