Kristos, l’ultimo bambino, di Giulia Amati

Selezionato all’interno delle Giornate degli Autori – Notti Veneziane, il documentario della giovane regista è un inno alla ruralità e allo stesso tempo alla cultura.

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Intimo, quasi sussurrato, eppure pungente, ferrigno. Kristos, l’ultimo bambino è l’esempio di come realizzare un buon film con semplicità è ancora possibile. Kristos, un bambino di 10 anni, all’ultimo anno delle elementari, vive ad Arki, una piccolissima isola del Dodecaneso greco ed è uno studente attento, sveglio e intelligente. Ma è anche l’unico della sua classe. La sua professoressa, con la quale Kristos nel corso del tempo ha stretto un legame sempre più forte, spinge affinché il ragazzo prosegua gli studi. Questo ovviamente significa per lui dover lasciare la sua isoletta e anche tutto ciò che fino a quel momento ha conosciuto, ovvero una vita fatta di pastorizia, principale occupazione delle poche decine di abitanti di Arki. Qui emerge il dilemma, la lacerazione di un bambino, il cui nomen omen è spaventosamente potente, che si fa uomo nel momento in cui deve scegliere fra due strade, entrambe desiderate e vagheggiate, ma delle quali, inevitabilmente solo una è percorribile. Restare ad Arki e continuare la vita che il destino ha scritto per lui oppure spezzare quella catena e diventare l’orgoglio di tutti gli isolani in nome di una cultura che per loro ha il suono esotico della libertà? L’immediatezza con la quale le immagini e le parole colpiscono lo spettatore è sintomo di un’abilità da parte di Amati di catturare gli elementi primitivi alla base della sua storia, sublimandoli in una serie di inquadrature nette, geometriche, eppure mai così familiari e intense.

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Kristos, l’ultimo bambino vive in una Grecia diversa dalla scintillante, patinata e canterina versione che negli ultimi anni la Mamma Mia! con Merly Streep prima e Lily James poi hanno imposto nello stereotipo cinematografico. Sempre di isole incantante e da togliere il fiato stiamo parlando, eppure il documentario di Giulia Amati aggiunge ai terreni selvaggi e alle spiagge cristalline della Grecia la cruda verità di una pungente ruralità, di un obbligato isolamento. Il dolore e la bellezza che si nascondono dietro i luoghi che per la maggior parte delle persone del globo sono solo località di villeggiatura o colorati pixel su Google Immagini. Lo sguardo della regista è genuino, fresco, pulito come gli occhi di Kristos e il suo lavoro non può che beneficiarne. Kristos, l’ultimo bambino riesce a fare dei suoi tempi dilatati un punto di forza (elemento che già da solo lo fa giganteggiare rispetto a molti suoi simili i quali invece finiscono per uscire penalizzati dalla lentezza della camera) e a raccontare una storia disarmante nella sua naturalezza.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
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