La canzone della terra, di Margreth Olin
Un’esperienza immersiva che, attraverso i suoni e le immagini maestose della natura, ci guida in una passeggiata intima e universale tra passato e presente. In sala da oggi.
L’uomo delle società moderne ha sempre manifestato in certi momenti della sua vita o in alcuni periodi storici il bisogno di tornare a un contatto reale con la natura, che restituisse il senso più profondo dell’esistenza proprio in virtù di un rapporto atavico di osmosi: dare e ricevere o viceversa togliere e perdere, laddove non si tratta mai di uno scambio paritario ma di una bilancia che irrimediabilmente pende a nostro favore. Seguendo il ciclo delle stagioni, con un prologo e un epilogo destinati a ripetersi, nel passato come nel futuro, Olin racconta la storia della sua famiglia; in realtà quella di tante altre come la sua che hanno avuto diverse generazioni alle spalle e che cercano di trasmettere modelli e valori a cui attingere per non sentirsi abbandonati quando si perdono le persone più care. Ritorna così nella valle di Oldedalen, nella parte occidentale della Norvegia, dove vivono i suoi genitori; trascorre un anno insieme a loro e sceglie il padre, 84 anni, come guida principale di questa passeggiata intima e universale che attraversa montagne, sentieri, boschi, corsi d’acqua, panorami e orizzonti che rivelano tutto il loro tempo, quasi infinito rispetto alla brevità della nostra permanenza sulla terra.
Il documentario, con campi spesso lunghissimi, riversa sullo spettatore tutta la maestosità della natura; l’uomo ne è una piccolissima parte e i dialoghi, misurati, lasciano completo spazio ai suoni e ai silenzi: un fuoco che crepita, l’acqua che gorgoglia, la terra che si assesta con i suoi sordi movimenti, un ghiacciaio che frana lentamente mutando la propria forma, a ricordarci gli effetti dell’azione dell’uomo. È un’esperienza sensoriale immersiva che invita a mettersi in ascolto. I ricordi famigliari si alternano a momenti di assoluta contemplazione. A dettare il ritmo alla narrazione è l’ambiente stesso con la sua fauna che si fonde con l’uomo fino a sovrapporsi: un orecchio diventa una conca d’acqua, la pelle rugosa evoca le striature del terreno, a marcare l’origine comune di ogni cosa. Madre e figlia entrano in scena di tanto in tanto, l’una accanto al marito, come anelli di congiunzione tra passato e presente; l’altra solo con la voce, intonando le filastrocche dell’infanzia. Il documentario trasuda spiritualità, una filosofia della riscoperta di sé e delle cose semplici che forse non a caso sembra il riflesso di uno dei tanti film di Wenders (che qui è produttore esecutivo insieme a Liv Ullmann), con quella ritualità del quotidiano che perpetua un gesto – il padre che pianta un albero come fece 130 anni prima il nonno – sconfinando nel sacro, a futura memoria delle generazioni a venire.
Titolo internazionale: Fedrelandet/Songs of Earth
Regia: Margreth Olin
Interpreti: Margreth Olin, Jørgen Mykløen, Magnhild Mykløen
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 90’
Origine: Norvegia, 2023