La pace si chiama uguaglianza

Ciò che accade in M.O. ci lascia sgomenti, attoniti e sebbene la “questione Palestinese” è materia troppo complessa per affrontarla come “rivista di cinema”, non vogliamo far finta di nulla mentre una parte del mondo sta impazzendo. Per questo vi proponiamo una bella intervista che “il manifesto” ha fatto al regista palestinese Michel Khleifi

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«Il mondo deve capire che questa guerra è un problema che riguarda tutti, non solo Israele e Palestina, in cui è in gioco l'equilibrio dei rapporti nord-sud e dove si riflettono le contraddizioni della società contemporanea»

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Intervista a Michel Khleifi di Cristina Piccino
Da “il manifesto” del 2 aprile

Israele? E' uno stato repressivo, che si fonda su leggi razziste. Non cerca le mezze misure Michel Khleifi, palestinese, regista, da trent'anni osservatore acuto e profondamente coinvolto del suo paese nel quotidiano di un conflitto di cui ha saputo raccontare la sofferenza anche al di fuori delle bombe, delle armi, dei carri armati e della guerra dichiarata, dando voce, volto, persistenza nelle sue immagini mai scontate a quanti non ne avevano mai avuta in modo diretto e pungente. E' un percorso, il suo cinema, che dalla “Memoria fertile” alla “Favola dei tre diamanti”, passando per “Nozze in Galilea” e “Cantico delle pietre” ci parla di un popolo, della sua Storia, della sua vita, dell'amore, di una ritualità dell'esistenza sotto una continua occupazione, dei sogni e delle utopie che si sono spezzati, negli anni, lungo i confini e i check point. Senza retorica, senza enfasi, nello svolgersi di una dimensione di piccole storie, personalissime, di chi guarda nella paura e nella morte libera un'energia più forte, la necessità comunque di vivere la propria dimensione umana, di felicità, di emozioni.
Michel Khleifi, che vive da molto tempo a Bruxelles, dove insegna alla scuola nazionale di cinema e teatro, sta lavorando anche a un progetto di film, dopo anni di silenzio. Un silenzio, ci spiega, necessario, che risponde al bisogno di trovare le parole, e le immagini, giuste per il presente, con le quali come sempre scavare in profondità.
KHLEIFI: «Non si deve dimenticare che il movimento sionista è un movimento del XIX secolo, è un nazionalismo del XIX secolo con tutte le tare dei nazionalismi di quell'epoca che hanno prodotto Mussolini in Italia, il nazismo, le spinte nazionaliste più a destra… In paragone il nazionalismo arabo nato tra le due guerre non è durato a lungo e non è riuscito a radicarsi nei nazionalismi del secolo. Credo che sia importante precisare questo punto» dice Khleifi guardando alle cronache di questi giorni. .

DOMANDA: A cosa ti riferisci?
KHLEIFI: Mi chiedo: perché tutto a un tratto dovrebbe esserci un'adesione più forte al sionismo nel mondo contemporaneo? Penso che sia un errore affermarlo perché nel fondo è quanto i sionisti vogliono, come tanta gente di estrema sinistra negli anni ‘70 che è diventata di destra, anche intellettuali, persino dei leader nel movimento studentesco del ‘68.

DOMANDA E perché secondo te?
KHLEIFI: E' un po' la «costrizione patologica» di cui parla Pasolini all'inizio degli anni Settanta criticando il movimento omosessuale, pure se lui lo era. Cercava di capire questa «costrizione patologica» nei termini di una malattia, quale sono tutti nazionalismi esasperati. Chi si incontra per cantare i valori dell'Islam, del cristianesimo, dei lombardi se non dei «malati» che cercano di costruire un mondo simbolico chiuso in grado di soddisfare questa loro «patologia»? Si può essere profondamente credenti come i miei genitori che pure sono progressisti. In passato ogni famiglia aveva un prete, un rabbino, un monaco, ma a un certo punto c'è stato un processo di liberazione, rispetto alle istituzioni religiose senza per questo rinunciare alla fede. Perché si può essere credenti e progressisti nel rispetto dell'altro, della cittadinanza, di una coscienza del mondo in cui dobbiamo vivere insieme.

DOMANDA Torniamo al sionismo…
KHLEIFI: Ora gli interessi in gioco sono molto più grandi. Prima, cioè nel secolo XIX, si trattava della lotta per la sopravvivenza in un'Europa dove le «minoranze» avevano sempre problemi, che era a forte maggioranza cristiana, cattolica o protestante, e non si può certo dire che tutti i sionisti fossero uguali. Molti di loro hanno lottato per la laicità, per un mondo nuovo, per il concetto di cittadinanza. Uno stato in Palestina poteva essere uno stato nuovo come l'Australia o l'America, composti da cittadinanze diverse. Loro però volevano uno stato basato sul diritto di sangue, esclusivamente ebreo. Del resto lo dicono chiaramente, non tollerano che i palestinesi siano rimasti lì fino a oggi. La mia famiglia, per esempio. Sono nato a Nazareth, i miei sono restati in quella regione che è diventata Israele, abbiamo avuto il passaporto israeliano, siamo già alla quarta generazione, noi, i miei genitori, i nostri figli, i nostri nipoti, e ci sono ancora ministri del governo israeliano che ci minacciano d'espulsione. Siamo sempre all'ideologia del XIX secolo che voleva escludere le minoranze, alla «costrizione patologica»…

DOMANDA Eppure nella storia di Israele c'è una componente laica, progressista, con un progetto di stato molto diverso…
KHLEIFI: Sì ma stiamo parlando ancora di una laicità «messianica», di gente cioè che si sentiva investita da una missione divina. Il problema è che la lotta per la sopravvivenza pian piano è diventata una lotta per il potere e per il denaro, perché Israele è un riferimento cruciale per il capitale di qualunque tipo nel mondo, e tutto questo purtroppo sta dietro a un potere chiuso, basato sul diritto di sangue, su un'idea di clan. E nessun paese vive su questo. Ho fatto un film nel '95, “Matrimonio misto”, in cui mostravo matrimoni tra arabi e ebrei che fossero arabi musulmani o cristiani, uomini o donne… Siccome è un paese religioso tutti devono sposarsi con il rito religioso e così alcuni di loro si sono convertiti: c'era un ebreo che diventa musulmano o cristiano e viceversa. La cosa incredibile è che se un ebreo si converte all'Islam diventa cittadino della seconda zona e quando accade il contrario, cioè un palestinese si converte all'ebraismo diventa cittadino a titolo pieno e colonizzatore mentre la sua famiglia rimane colonizzata. Israele fa una propaganda come se si trattasse di un film hollywoodiano, usando tutto il tempo arrangiamenti, ritocchi. L'altro aspetto fondamentale è che la tragedia palestinese e il conflitto sono legati alla modernità. E' la tragedia dell'individuo contemporaneo diviso tra un mondo virtuale e un mondo reale in cui non si riesce più a sapere dove sta la realtà e dove il virtuale. Prendiamo il punto di vista di Israele. La sua legittimità è basata su un'idea virtuale che è Dio, ovvero internet, un'entità da qualche parte che ha detto questo o quello. E' impossibile sapere se esiste o no, bisogna credere, aderire alla fede, e come dice San Paolo, la fede non si discute, esula dalla ragione. Quindi questa legittimità ha una base virtuale. Secondo punto, le frontiere. Non sappiamo cosa vuole il governo israeliano, la divisione, il ‘48, il ‘67, la Grande Israele? Tutto è possibile. Terzo punto, l'idea del popolo. Anche questa è virtuale e ovunque. Si può parlare di italiani e poi dieci anni dopo ecco che si parla di lombardi, siciliani, e tutto cambia. Malgrado ciò è comunque designata attraverso una storia in rapporto alla memoria, alla terra, etc. Da parte israeliana, ripeto, è virtuale, può essere una costruzione immaginaria, il popolo di dio, mitica, Mosè, può fondarsi su tutti quelli che hanno la madre ebrea. Ogni tanto in Israele ci sono dibattiti su questo, ma anche quando si arriva a uno stadio di riflessione così stupido, perché non si possono aggiungere due milioni o tre di palestinesi il cui problema di sopravvivenza è concreto, nella realtà? Che fare con gente che dal ‘48 è costretta allo statuto da rifugiati, che avevano villaggi, case, alberi, e non sanno più cosa gli appartiene? E' questa la tragedia, ci sono persone che fondano la loro legittimità su una serie di idee virtuali, e altre costrette a una realtà in cui gli viene negata ogni concezione moderna, uno stato, una legittimità, una società.
DOMANDA Ma questa relazione tra stato e religione caratterizza molti paesi ed è stata anche nell'Islam uno strumento di sconfitta per le forme di pensiero più avanzate.
KHLEIFI: L'Islam come l'ebraismo si fonda sul diritto di sangue. Un musulmano è tale per via paterna come l'ebreo lo è per linea materna. Nel cristianesimo invece si tratta di una comunione, si deve essere battezzati, avere una comunione con il Cristo, non è automatico, non rimanda ai genitori, c'è un rito di «adesione». E' chiaro che se poi uno nasce in una famiglia religiosa viene educato secondo quei principî, ma questa differenza è importante perché permette all'individuo di esistere al di là dei suoi legami di sangue. Parlando dell'Islam politico, ogni tentativo di costruire uno stato moderno è stato bloccato, il socialismo non ha funzionato, il capitalismo neanche e pure quando ci sono i principi come in Arabia Saudita non va bene. Ma il mondo contemporaneo si basa sul profitto, e come ha detto qualcuno «se con la merda si facessero soldi i poveri non avrebbero più il culo». Finché ci sono i dollari del petrolio nei paesi musulmani ci saranno guerre «per l'Islam», la ricerca tecnologica è legata anche a quella militare, e così perché l'uomo occidentale ha diritto ad avere bombe, armi e gli altri no? Perché Israele può avere queste armi e il mondo arabo no? O si accetta che anche gli altri, partecipando alla «costrizione patologica» abbiano il diritto pure se per vie tortuose, attraverso nazionalismi o integralismi, di arrivare a un'autonomia – che devono avere – oppure si ragiona in un altro modo.

DOMANDA Definiresti la politica di Israele verso i palestinesi coloniale?
KHLEIFI: La differenza rispetto all'Inghilterra o alla Francia, ad esempio, è che hanno imposto all'Africa i loro modi di vita, ma non si sono appropriati, almeno formalmente, delle terre come è accaduto in Australia o nell'America del nord o in Sudafrica. Per poter regnare eternamente Israele ha bisogno di unificare la lingua e di imporre la religione unica. Mi sembra impossibile però che ciò accada. Forse vivrò ancora venti o trenta anni, ma sarò sempre fiero di avere partecipato alla lotta per la pace, per la giustizia, per l'uguaglianza, e per tutti, israeliani e palestinesi, e per il mondo, che credo non appartenga a nessuno ma che sia di tutti. So che abbiamo messo il seme di una battaglia a lungo termine e non vedo Israele come un'isola di prosperità in un oceano di poveri. E lo stesso vale per l'Europa. La pace in medioriente riguarda il mediterraneo del sud e del nord, dunque il mondo arabo e l'Europa. Israele non deve essere più un'entità razzista e colonizzatrice, e per il bene della società israeliana come del resto. Non si può accettare che famiglie, anche di kamikaze, abbiano lavorato per gli israeliani anni e anni senza essere pagati, o che siano stati sfruttati … Quando c'è una società che sogna non ci sia più un palestinese al mondo, ecco che si parla di massacro. Loro pensano che devono mandare tutti i palestinesi altrove, e inoltre gli intellettuali di sinistra accettano queste cose. Ma in Israele sono prigionieri di un sistema mentale che hanno creato loro stessi, di un fascismo, di un comunitarismo da clan, che fa pensare a una visione animale, da babbuini, che vivono in gruppo tra loro. Penso che il giorno in cui smetteranno di pensare che noi siamo delle bombe ma che siamo solo persone, alcune buone altre cattive, allora riuscirà a smettere di essere uno stato razzista, ferocemente repressivo. Solo così potrà cambiare.

DOMANDA Sharon si appella alla lotta al terrorismo…
KHLEIFI: Ho parlato con mia sorella questi giorni, che pure fa parte di quella piccola borghesia senza storia, che guarda al mondo con neutralità. Eppure mi domandava ma perché nessuno ci aiuta? Mi viene da rispondergli la stessa cosa che direi a un regista che fa buoni film e mi chiede perché il pubblico non li vede. Non lo so. Ma non c'è una contraddizione in questo. Siamo in un rapporto di forza. Ci sono due realtà di fronte al mondo, una che si conosce e l'altra no. In più nella mentalità diffusa c'è il problema con l'ebraismo, con la shoah, che dovrebbe essere separato dalla questione di Israele anche per evitare confronti pericolosi. Ci sono gli interessi economici, quindi è più facile restare neutri, ma il problema è che a lungo termine quanto sta accadendo si rivolgerà contro tutti. Mi viene in mente quando giravo “Nozze in Galilea”, con un marito impotente, e allora mi sembrava una metafora dei palestinesi e del mondo arabo. Oggi mi chiedo se non sia piuttosto una metafora del mondo intero. Siamo impotenti di fronte a questa violenza criminale.

DOMANDA Cosa credi che succederà? La pace sembra ormai impossibile.
KHLEIFI: Per quanto mi riguarda non accetterei mai, e fino alla fine della mia vita, che l'eguaglianza con l'altro. Non posso pensare che qualcuno israeliano valga più di me, è un problema di dignità umana se no il ragazzo kamikaze ha ragione. Io vorrei un avvenire che possa essere vissuto nella felicità e nella pace, ma tutto questo può esistere solo nell'uguaglianza, avendo gli stessi diritti.

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