La programmazione di Fuori Orario dal 23 al 29 luglio

Doppio Chabrol, Bressane, Ruiz e Sarmiento, Duras e Ferreri. Da non perdere Morire gratis di Franchina e le prime tv di Réponse de femmes di Varda e Je tu il elle di Akerman.

--------------------------------------------------------------
INTELLIGENZA ARTIFICIALE PER LA SCENEGGIATURA, CORSO ONLINE DAL 28 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Domenica 23 luglio dalle 1.40 alle 6.00

--------------------------------------------------------------
OPEN DAY SCUOLA SENTIERI SELVAGGI, IN PRESENZA/ONLINE IL 7 GIUGNO!

--------------------------------------------------------------

Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

----------------------------
SCUOLA DI CINEMA TRIENNALE: SCARICA LA GUIDA COMPLETA!

----------------------------

presenta

UN FILM NON COME GLI ALTRI. OLTRE E DOPO LA NOUVELLE VAGUE (3)

a cura di Fulvio Baglivi e Roberto Turigliatto

STÉPHANE, UNA MOGLIE INFEDELE

(La femme infidèle, Francia-Italia, 1969, col., 94′, versione italiana)

Regia: Claude Chabrol

Con: Stéphane Audran, Michel Bouquet, Michel Duchaussoy, Maurice Ronet

Per caso Charles viene a sapere che la moglie Hélène ha un amante, Vitctor Pegala. Si reca nella sua abitazione e lo uccide, poi si sbarazza del corpo. Mentre la polizia indaga sulla sua scomparsa, Hélène si  rende conto a poco a poco che il marito è l’assassino e che ha ucciso per amore, a prezzo di compromettere la sua vita borghese e tranquilla.

In poco più di due anni (1967-1970) Chabrol realizza col produttore André Génovès 6 film (Les biches, La femme infidèle, Que la bête meure, Le boucher, La rupture, Juste avant la nuit) che costituiscono tutti insieme un corpus di straordinaria coerenza, uno dei vertici assoluti non solo della sua opera ma di tutta la storia del cinema francese. Purtroppo irrisolti problemi di diritti impediscono da anni il restauro e la migliore conoscenza di questi film, che sono anche il geniale e paradossale modo in cui Chabrol ha interpretato e scavalcato il 1968 con una impietosa, estrema e tuttavia empatica radiografia della “follia  borghese” e della sua “regola del gioco”, una  “commedia umana” fatta di maschere e inganni. Non soltanto nella loro evoluzione   Truffaut e Chabrol non hanno sconfessato la Nouvelle Vague e non hanno fatto  ritorno al “cinema di papà”, ma al contrario (anche se in modo molto diverso) si sono spinti oltre, sempre confondendo le piste, come già avevano fatto i classici più amati, si chiamassero Hitchcock o Renoir o Lang.

“Durante le riprese di La femme infidèle, Michel Bouquet diceva che io recitavo attraverso di lui, che mi proteggevo dai drammi della vita mettendoli nei miei film come per esorcizzarli. Ecco, in questo siamo già vicini al mio cinema e al mio modo di procedere” (Claude Chabrol)

LANDRU

(id., 1963, col., 97’, versione italiana)

Regia: Claude Chabrol

Con: Charles Denner, Danielle Darrieux, Michéle Morgan, Stéphane Audran, Juliette Mayniel, Hildegarde Neff, Stéphane Audran

Durante la Prima guerra mondiale, per sopperire ai bisogni della famiglia, Landru seduce, sposa e poi uccide 11 donne, dopo essersi fatto intestare i loro beni. Riconosciuto dalla sorella di una delle vittime viene infine arrestato. Il processo coincide con la conferenza  di pace e il governo fa in modo che sulla stampa  le notizie sensazionali sul “mostro” distolgano l’attenzione dell’opinione pubblica. Ispirato a un celebre fatto di cronaca, cui aveva già attinto Chaplin per Monsieur Verdoux, il film è uno studio sarcastico del crimine come «pratica artigianale», opposto al genocidio su scala industriale della guerra, e un omaggio al cinema muto, rievocato dalla recitazione, dalle inquadrature fisse e frontali e dalle scenografie teatrali.

«Landru sguazza come un pesce nell’acqua della sua epoca. È un borghese perfetto: moglie, figli, governante. Ha buttato 11 donne in una stufa a legna, ma solo perché le circostanze glielo hanno consentito e perché questo gli semplificava le cose. […] Non mi piacciono le storie che cercano di ridimensionare un mito. Ma Landru è un mito o un uomo? Questa domanda diventa cruciale nel momento in cui si decide di fare un film su un personaggio del genere. E nel mio film ci sono entrambi, l’uomo e il mito, e credo per la prima volta si assista alla metamorfosi del primo nel secondo». (Claude Chabrol)

 

Venerdì 28 luglio dalle 0.50 alle 6.00

UN FILM NON COME GLI ALTRI. OLTRE E DOPO LA NOUVELLE VAGUE (4)

a cura di Fulvio Baglivi e Roberto Turigliatto

RÉPONSE DE FEMMES  – NOTRE CORPS, NOTRE SEXE     PRIMA VISIONE TV

(Francia, 1975, col., 9′, v.o. sottotitoli italiani)

Regia: Agnès Varda

“Per la rivista “F. comme Femmes”, Sylvie Genevoix e Michel Honorin chiesero a me e ad altre registe di girare sette minuti su Qu’est-ce qu’être femme?, cosa significa essere donna? Ridussi il soggetto a Notre corps, notre sexe, il nostro corpo, il nostro sesso. In sette minuti bisognava fare presto e non andare per il sottile. Feci un ciné-tract. Scrissi un testo per dieci-undici donne diverse tra loro. Girammo in un monolocale molto illuminato e all’esterno, in un cantiere del quartiere, con un gruppo di uomini, passanti, muratori, impiegati, un sarto e Guy Cavagnac.”  (Agnès Varda, Varda par Agnès, 1994).

“Anche se di fatto femminista lo sono sempre stata (e tale mi sono sempre considerata per le mie scelte, le mie idee e soprattutto per i miei rifiuti), ho imparato molto su me stessa e sul femminismo grazie alle ‘donne del movimento’, le radicali americane, e poi le francesi dopo il maggio ’68” (Agnès Varda, “Cinéma 75”, n. 204, dicembre 1975)

JE TU IL ELLE             PRIMA VISIONE TV  

(Belgio-Francia, 1975, col., 82’, v.o. sottotitoli italiani)

Regia: Chantal Akerman

Con: Chantal Akermna, Niels Arestrup, Claire Waution

Quando gira questo primo film lungometraggio di finzione, Chantal Akerman ha 24 anni. Nel 1975 girerà, subito dopo, Jeanne Dielman, recentemente consacrato  dalla rivista inglese “Sight and Sound” come miglior film della storia del cinema.

Decisa giovanissima a fare cinema alla visione dei film di Godard, dopo molti corti e mediometraggi e un soggiorno di due anni a New York la cineasta belga realizza Je tu il elle a bassissimo costo, in solo otto giorni, in bianco e nero, in lunghi piani sequenza e con solo 3 attori (tra cui Akerman stessa). L’uscita in sala a Parigi nel 1976 è un trionfo critico, che vede Akerman entrare giovanissima nel gruppo dei cineasti più radicali e decisivi della sua epoca, da Garrel a Godard, dagli Straub a Werner Schroeter.

Il titolo Je tu il elle scandisce i quattro tempi del film. Je: una giovane donna (Chantal Akerman), sola in casa, sposta i mobili, li spinge contro i muri e finisce per sdraiarsi a terra. Tu: mentre mangia zucchero con un cucchiaio, scrive lettere. I giorni passano, le pagine si accumulano. Il: dopo molte settimane passate a strappare e riscrivere queste lettere esce di sera e incontra un camionista che le parla del desiderio, del suo rapporto con le donne. Elle: in piena notte la giovane donna raggiunge un’amica, che prima la respinge, poi divide con lei il proprio letto. Al mattino la ragazza riparte senza dire una parola.

“Ogni volta che rivedo il film l’immagine della ragazza – che è la mia – mi mette a disagio.  Eppure non ho più nulla in comune con questo personaggio fuori dalla società, disperato, e che tuttavia, gesto dopo gesto, in una specie di decisione segreta, dimostra una disperazione muta vicina all’urlo” (Chantal Akerman)

Je tu il elle non è forse altro che un film intorno al calore. È il TU che viene trovato. Questo TU senza il quale non ci sarebbero lettere, viaggi, baci (“baciate chi volete” è il credo finale cantato), e nemmeno un film. Questo TU è ciò che lega JE a IL, a ELLE: a NOI.” (Mahalie Genuite e Philippe Azoury)

LA CAGNA

(Francia/Italia 1972, col., 86′)

Regia: Marco Ferreri

Con: Marcello Mastroianni, Catherine Deneuve, Michel Piccoli Corinne Marchand. Claudia Bianchi, Valérie Stroh

Giorgio, di mezza età, disegnatore di fumetti con velleità vagamente maoiste, ha abbandonato a Parigi moglie e due figli ormai grandi, e si è ritirato in un isolotto del Mediterraneo dove vive e lavora in compagnia del suo cane Melampo, unico paziente ascoltatore dei suoi vaniloqui (nell’isolotto c’è fra l’altro una pista abbandonata, un relitto di aereo tedesco, un bunker che Giorgio ha trasformato in propria abitazione). La solitudine è attenuata da una radio, da un vecchio grammofono e da periodiche puntate a bordo di un gommone sulla terraferma per rifornimenti. Sull’isola approda Lisa, una ragazza che ben presto sopprime per gelosia il cane, per divenire essa la “cagna”. Giorgio visita a Parigi la moglie, reduce da un tentato suicidio; qui viene raggiunto da Lisa e mal sopporta l’attaccamento della figlia Valeria per il gatto: torna con Lisa nella solitudine. Un giorno il mare si porta via il gommone: i due consumano l’ultima scatola di carne poi ingannano lo stomaco con l’acqua di una sorgente (“il mare non ha più pesci”) e quindi si riuniscono sul relitto dell’aereo per un assurdo viaggio. L’aereo scivola lungo la pista per arrestarsi in fondo alla discesa e così – pare – dissipa le illusioni, i sogni, ogni risorsa dei due, in attesa della morte per inedia.

PER UN VIAGGIO IN ITALIA – IL DIALOGO DI ROMA   

(Italia, 1983, col., 61’)

Di: Marguerite Duras

Voci off: Anna Nogara, Paolo Graziosi

Prodotto dalla RAI all’interno della serie “Per un viaggio in Italia” il film segue il “percorso amoroso” di un uomo e di una donna tra Palazzo Farnese e Villa Medici, passando per Piazza Navona, le sponde del Tevere, il Palatino ed i siti archeologici della città imperiale.

“Il tema del film dovrebbe essere la conversazione tra un uomo e una donna. Una coppia di amanti o di sposi è indifferente. Nessuna spiegazione dovrebbe intervenire quanto alla condizione sociale di questa coppia, la loro età, la durata del loro legame. La conversazione stessa non dovrebbe avere un vero inizio, ma subito avviarsi su un particolare della loro vita privata. Tutta la conversazione riguarderebbe un episodio passato della vita della coppia, un fatto mai esplicitato, impossibile da esplicitare, che in qualche modo rappresenta il male inguaribile di un amore. Questo male verrebbe messo in rapporto con quello dell’esilio” (Marguerite Duras).

 

Sabato 29 luglio dalle 2:05 alle 6.30

UN FILM NON COME GLI ALTRI. OLTRE E DOPO LA NOUVELLE VAGUE (5)

a cura di Fulvio Baglivi e Roberto Turigliatto

UCCISE LA FAMILIA E ANDÒ AL CINEMA

(Matou a família e foi ao cinema, Brasile, 1969, b/n, 64’, v.o. con sottotitoli italiani)

Regia: Julio Bressane

Con: Antero de Oliveira, Márcia Rodrigues, Renata Sorrah, Vanda Lacerda

Secondo Caetano Veloso è uno dei più grandi capolavori del cinema, non solo brasiliano ma di tutti i tempi, oltre che manifesto delle nuove tendenze del cinema brasiliano allora in opposizione al “cinema novo”.  Julio Bressane, Rogério Sganzerla e Helena Ignez si riuniranno per la fondazione della Bel Air. Con una struttura narrativa basata su più storie parallele che si snodano dal delitto iniziale, indicato nel titolo: un giovane uccide il padre e la madre a pugnalate e va al cinema a vedere il film “Perdidos de amor”…

“Ho girato Matou a Familia… dopo O Anjo nasceu, nella stessa sequenza temporale, uno dopo l’altro, in  diciotto, venti giorni, senza interruzione. Ma come progetto Matou a Familia è anteriore a O Anjo nasceu, è un film ancora molto legato a Cara a cara. La struttura narrativa di Cara a cara si compone di tre storie, in  Matou a Familia sono dieci. C’è una struttura moltiplicata analoga. Matou a Familia e O Anjou masceu furono degli indicatori: un cinema indirizzato verso la sensibilità, la sperimentazione. Il contrario di quello che volevano fare loro [gli esponenti del Cinema Novo]. Erano film fatti per aprire il cinema mentre loro volevano che si facesse un unico cinema. Fu questo lo choc di quel momento. Ci fu una reazione sproporzionata e crudele, di cattiveria rara, al di là del limite. Ma i film furono fedeli a questa intuizione, al presentimento che avevo avuto” (Julio Bressane)

IL TANGO DEL VEDOVO E IL SUO SPECCHIO DEFORMANTE

(El Tango del viudo y su espejo deformante, Cile, 1967/2020, col., b/n, 60’, v.o. sott.it.)

Regia: Raúl Ruiz, Valeria Sarmiento

Con: Ruben Sotoconil, Sergio Hernández, Claudia Paz, Chamila Rodríguez, Luis Alarcón, Néstor Cantillana, Shenda Román, Gabriela Arancibia, Delfina Guzmán, Marcela Golzio, Luis Vilches, Gabriel Urzua

Primo lungometraggio, mai terminato, di Raúl Ruiz. Sono passati più di cinquant’anni. Nel 1973, il putsch militare lo costrinse all’esilio e le bobine del film furono ritrovate solo molto più tardi nascoste in un cinema. Valeria Sarmiento, regista e vedova di Ruiz, si è occupata di riportare in vita il film. Consulenti sordi l’hanno aiutata a ricostruire i dialoghi leggendo le labbra degli attori. La storia è incentrata sul signor Iriarte, la cui vita viene sconvolta dalla morte della moglie. La donna lo perseguita di notte, le sue parrucche si muovono sul parquet e alla fine anche il diavolo stesso fa la sua comparsa. Ma è a questo punto che il film si guarda allo specchio riavvolgendosi in una deformazione abissale.

“Raúl Ruiz continua a consegnare film dall’altro mondo. Ha buoni medium, tra i quali c’è anche la sua ex moglie. Tuttavia, il loro ultimo risultato è ancora più grande del precedente: portare sullo schermo il primo lungometraggio di Ruiz. Oggi il film appare quasi profetico, una meditazione sulla morte e sull’irreversibilità del tempo che segue senza mezzi termini la logica dei sogni per stabilire la sua narrazione. “Tu non esisti più”, dice un personaggio a un altro. La sua sfacciataggine poetica sta nel modo in cui le sue azioni disobbediscono alla continuità e, a metà film, iniziano a muoversi all’indietro come se venissero riavvolte, aggiungendo alcune nuove variazioni a ciò che abbiamo già visto e sentito. La trama? La moglie di un uomo muore (o viene uccisa) e l’uomo non riesce a dormire e pensa di togliersi la vita. Il resto del film è Ruiz allo stato puro e selvaggio: una parrucca vortica per la casa; i piedi di una donna appaiono sotto il letto; una cena, una visita a una libreria; un incontro con un amico – ma tutti questi eventi non sono mai del tutto tali. La libertà regna assoluta”. (Roger Koza per la Viennale)

MORIRE GRATIS

(Italia, 1967, b/n, 83’)

Regia: Sandro Franchina

Con: Franco Angeli, Karen Blanguernon, Mario Pisu, Isabel Ruth, Paulo Cesar Saraceni

Uno scultore (Angeli) accetta di trasportare in macchina una sua opera (una Lupa capitolina) da Roma a Parigi, sapendo che vi è stata nascosta della droga. Durante il viaggio incontra una francese (Blanguernon) in cerca di avventure, si droga, ha avventure sessuali, compie diversi atti gratuiti. “La mia paura è morire gratis”, afferma il protagonista nel corso di questa deriva. Premiato nel 1968 a Nantes col premio Max Ophuls, uno dei film italiani più inclassificabili e anticipatori di tutto il cinema italiano degli anni Sessanta.

 

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative