La programmazione di Fuori Orario dal 5 all’11 novembre

Tra i film del ciclo “Dall’altra parte” ci sono Malmkrog di Christi Puiu, Material di Thomas Heise e la prima tv di D’Est di Chantal Akerman. Da stanotte.

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Domenica 5 novembre dalle 2.30 alle 6.00

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Fuori Orario cose (mai) viste                                                              

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

DALL’ALTRA PARTE 3 – Rivelazione

a cura di Fulvio Baglivi, Lorenzo Esposito, Roberto Turigliatto

MALMKROG

(Malmkrog, Ungheria-Francia-Russia-Germania, 2020, col., dur., 193′, v. o sott. it.)

Regia: Christi Puiu

Con: Frédéric Schulz-Richard; Agathe Bosch, Marina Palii, Diana Sakalauskaité, Ugo Broussot, István Téglás, Zoe Puiu

Presentato alla Berlinale nel 2020 nella sezione Encounters dove ha vinto il premio per la miglior regia e al Festival di Trieste in prima italiana.

Il penultimo film del grande regista rumeno è tratto dall’opera I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo,(conosciuto anche come Dialoghi sulla guerra, la morale e la religione) dello scrittore russo Vladimir Sergeevič Soloviev (1853-1900),  pubblicata nel 1899. Autore di numerose opere, Solovievè stato filosofo, teologo, poeta, critico letterario, amico di Dostoevskij, e forse perfino ispiratore del personaggio di Ivan Karamazov.

Puiu, che aveva già messo in scena il  testo in un atelier a Tolosa,  lascia intatta la forma dialogica  –  il confronto di cinque personaggi appartenenti all’aristocrazia o all’alta borghesia  dell’Europa ottocentesca che dialogano in francese all’interno della grande magione di un anziano possidente, in un luogo che potrebbe essere la Transilvania.

I temi dei lunghi dialoghi – cadenzati dai rituali dei pranzi, e delle cene, dei te e dei brandy –  sono la natura del Cristo, il problema del male, la Resurrezione della carne, la libertà e la possibilità di salvezza, l’idea di Europa e  la guerra, la Russia e la religione universale, e, infine “Il racconto dell’Anticristo”, l’Apocalisse. Su tutto sembra già incombere la catastrofe dell’Europa del nuovo secolo che verrà.

Il film è caratterizzato da un’attenzione formale e un senso della messa in scena non comuni nel cinema contemporaneo, con la macchina da presa che si muove e disegna geometrie seguendo i cambiamenti di visione e “posizione” (storica, politica, morale) dei dialoghi, e creando anche delle discrepanze cronologiche. Fino al di punto di rottura.

 

Venerdì 10 novembre dalle 1.40 alle 6.00

DALL’ALTRA PARTE 4 – Fuga

a cura di Fulvio Baglivi, Lorenzo Esposito, Roberto Turigliatto

ADA                                    

(Unclenching the Fists, Russia, 2021, col., dur., 93  v.o. sott. it.)

Regia: Kira Kovalenko

Con: Milana Aguzarova, Alik Karaev, Soslan Khugaev, Khetag Bibilov, Arsen Khetagurov

Film vincitore del Premio  Un Certain Regard al 71° Festival di Cannes. Opera seconda dell’allieva di Aleksandr Sokurov.

La piccola città mineraria dell’Ossezia del Nord, Mizur, sorge stretta tra pareti rocciose a strapiombo. Zaur ha trasferito qui la sua famiglia dopo i tragici eventi che hanno portato alla morte della moglie. Cresce i figli e soprattutto la figlia Ada con rigore, senza conoscere i limiti tra le cure paterne e l’iperprotezione. Il figlio maggiore Akim è già fuggito nella più vicina grande città di Rostov per lavorare. Il più giovane, Dakko, non ha ancora capito bene cosa vuole dalla vita. Ada invece combatte due battaglie parallele: quella per la propria liberazione di giovane donna e quella per fuggire per sempre da quei luoghi.

CORPO E ANIMA                                               

(Testról és lélekről, Ungheria, 2017, col., dur. 111′, v. o. sott., it.)

Regia: Ildikó Enyedi

Con: Géza Morcsányi, Alexandra Borbély

Il film ha conquistato l’Orso d’Oro al Festival di Berlino del 2017, a quasi trent’ anni di distanza da Il mio ventesimo secolo, vincitore della Caméra d’Or al Festival di Cannes del 1989, che aveva consacrato internazionalmente la regista ungherese fin dal suo primo film. Fuori Orario ritorna su Ildikó Enyedi, di cui aveva presentato agli albori del programma proprio Il ventesimo secolo.

Mária e Endre lavorano nello stesso mattatoio industriale nella periferia di Budapest, lei come responsabile del controllo di qualità, lui come direttore amministrativo. Tutti e due conducono una vita solitaria e dedita al lavoro, nulla sembra animare la routine quotidiana della loro vita. Ma nei colloqui con la psicologa aziendale scopriranno che ogni notte si incontrano da oltre due anni nello stesso sogno, ritrovandosi in una foresta innevata, popolata da due cervi.

“Sentivo la necessità di raccontare una storia d’amore passionale e travolgente nel modo meno passionale e spettacolare possibile (…) Volevo evocare quella situazione dove nulla è visibile ad occhio nudo, mentre ci sono tante cose da scoprire all’interno». (Ildikó Enyedi)

 

Sabato 11 novembre dalle 1.45 alle 7.00

DALL’ALTRA PARTE

5 – Evocazione 

a cura di Fulvio Baglivi, Lorenzo Esposito, Roberto Turigliatto

D’EST                                                PRIMA VISIONE TV

(Belgio-Francia-Portogallo,  1993, col., 111’, v.o. senza dialoghi)

Regia: Chantal Akerman

Evocazione della guerra. Implosione: così Chantal Akerman su D’est. Viaggio nell’Europa del ‘dopo-Muro’, realizzato in 16 mm., composto per lo più di inquadrature di esterni, fisse o in travelling. ipnotici di straordinaria e insuperata intensità. Nessun commento.   Si passa dall’estate all’inverno, dalla campagna alla città, dai sobborghi al mare, dalla Polonia alla Russia, senza che questi luoghi e questi paesaggi da un paese all’altro siano esplicitamente menzionati e senza alcuna idea di progressione.  I mille volti e corpi di persone qualsiasi, gli assembramenti all’alba o nella notte, i grappoli spettrali di gente imbacuccata che aspetta – il treno, l’autobus, la fine del mondo, non si sa…  Il film D’Est è diventato anche una installazione, la prima realizzata da Chantal Akerman:  Bordering on fiction: Akerman’s “D’Est”, al Walker Art center di Minneapolis ((1993-1995) e ripresa   successivamente  in numerosi altri  musei d’arte contemporanea. Insieme ai successivi Sud (girato in Texas), De l’autre côté (girato tra Arizona e Messico). D’Est   compone una straordinaria trilogia di cinema nomade, “apolide” (cui si può aggiungere anche un ulteriore tassello, Là-bas , girato a Tel Aviv) , che possiamo considerare tra i risultati più alti di una della più grandi registe e artiste del tempo appena trascorso. Di grande, di rivoluzionario, non c’è che il minore, come ci hanno insegnato Deleuze e Guattari attraverso Kafka.

“D’Est è profondamente narrativo perché permette allo spettatore di raccontarsi delle storie. Anche la cornice c’entra molto perché non è mai documentaristica. Non dico: ecco, vi dirò tutto della Russia. Mostro delle impressioni e la gente poi continua dentro di sé.  D’Est non è solo un film sull’Europa dell’Est. Quelle immagini le avevo già in me. Avrei potuto filmare mille altre cose, ho filmato questo perché erano delle riprese che esistevano già nella mia testa. È qualcosa che ha a che vedere con i campi, le evacuazioni, le immagini prima di me” (Chantal Akerman).

“La bellezza di D’Est deriva da questo sguardo su esseri umani di cui non sappiamo nulla. Non sappiamo nulla, lei li guarda. C’è come il desiderio di trasmettere, di captare qualcosa di questo mondo perduto, e nello stesso tempo l’impossibilità di catturarlo. Ci sono lì tutte queste persone che vivono e che non rivedremo più, ci ricorderemo soltanto che hanno vissuto. (…)    Chantal è una donna che fa parlare i morti, ne sente la necessità. Lo fa attraverso l’arte, l’’unica maniera di far rivivere qualcosa che è soltanto nella nostra testa (…) Nei film di Chantal Akerman non si scopre, si riconosce. Ed è precisamente questo il lavoro di un artista” (Christian Boltanski)

MATERIALE

(Material, Germania, 2009, b/n e col., dur., 164′, v. o sott. it.)

Regia: Thomas Heise

Presentato alla Berlinale nel 2009 e poi in diversi festival internazionali (ha vinto, tra l’altro, il primo premio del Fidmarseille), il film di Thomas Heise è inedito in Italia . Fuori Orario riproporrà a breve anche il film più recente di Heise, Heimat è uno spazio nel tempo, già trasmesso l’anno scorso.

Il film costruisce un montaggio di materiale filmico non utilizzato di diverso formato (8mm., 16 mm., 35 mm., VHS, Beta SP) girato  nel corso di venti anni,  prima e dopo la caduta del muro di Berlino. Queste immagini inedite, che costituiscono la materia stessa del film, sono state realizzate per altri film o girate nell’urgenza degli avvenimenti. La domanda di Heise, attraverso il montaggio di questi materiali, non è solo come documentare un paese in  piena  mutazione ma  cosa fare di queste immagini “residuali”. La domanda è anche: che cosa resta della Germania Est del “prima” del 1989, che cosa resta delle speranze del “dopo”?  Questo è in realtà il vero grande film sul passaggio dalla Germania della RDT alla caduta del muro e alla successiva riunificazione.

Il film inizia con il riso di bambini che giocano in un paesaggio di rovine dei primi anni Novanta, e quindi sotto il segno dell’infanzia, del paesaggio e della perdita.  Seguono altri momenti: “Germania Tod in Berlin”, il lavoro di preparazione per la messa in scena del dramma di Heiner Müller sotto la direzione di Fritz Marquandt nel 1998; lo sgombero delle case occupate della Mainzer Strasse; le manifestazioni di massa di oltre un milione di persone raccolte sull’Alexanderplatz alla fine del 1989. I resti disparati di una storia tedesca. Secondo Heise  “la forma risulta dal materiale”, non gli viene sovrapposta.

Material è così non solo una potente e ineguagliata riflessione personale sulla storia della Germania ma anche un’interrogazione sulle forme della propria stessa scrittura filmica. Heise (nato a Berlino Est nel 1955) prosegue un lavoro cominciato negli anni Ottanta nella RDT, durante i quali è stato non solo documentarista ma anche regista teatrale (discepolo, tra l’altro, di Heiner Müller): un lavoro che è stato oggetto costante della censura da parte delle autorità e che solo in anni più recenti si è potuto scoprire: un lavoro che ne fa uno dei maggiori cineasti tedeschi degli ultimi decenni.

“‘Material è uno dei film più belli visti in questi giorni berlinesi. Commovente, appassionato, scommette sull’intelligenza del dubbio contro l’autoritarismo. È una riflessione importante sull’immagine e sul suo valore oggi, cosa e quanto ci dice, e in che modo vi entra il sentimento personale, la partecipazione di un’esperienza. Filmare per Heise è un gesto di resistenza ma anche, o forse soprattutto, di una prima persona del ‘frammento’, che vuole ancora mettersi in gioco.” (Cristina Piccino, Il Manifesto, 13 febbraio 2009)

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