La sociedad de la nieve, di J.A. Bayona

Si concentra molto di più sugli sguardi e le emozioni dei suoi protagonisti, che sulle loro azioni. Sconvolgente e intenso. VENEZIA80. Film di chiusura

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“Bisogna ritornare al passato, sapendo che il passato non cambia…”

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Juan Antonio Bayona, a distanza di cinque anni da Jurassic World – Il regno distrutto, viaggia nel passato a bordo del volo 571 delle forze aeree uruguaiane che la mattina del 12 ottobre 1972 decolla dall’aeroporto di Montevideo, in direzione Santiago del Cile. Tra le due capitali si staglia l’immensa Cordigliera delle Ande, una delle catene montuose più imponenti del mondo. L’aereo avrebbe una traiettoria sicura per il suo viaggio ma l’incontro tra i venti caldi e freddi in prossimità delle Ande crea una corrente che risucchia il velivolo tra gli “abissi” della catena montuosa. Scampano all’incidente solo ventinove dei quarantacinque a bordo, la maggior parte dei quali sono ragazzi tra i venti e ventisette anni, compagni in una squadra uruguaiana di rugby. Gli amici da una vita, legati dallo spirito di squadra, si ritrovano a lottare per la sopravvivenza in un luogo dove non è possibile vivere. Dovranno provare a farlo per due lunghi mesi e saranno costretti a prendere delle decisioni disumane.

Tratto dall’omonimo romanzo di Pablo Vierci, ispirato a sua volta da una storia vera, il film di Juan Antonio Bayona racconta (come aveva già fatto Frank Marshall nel 1993 con il suo Alive – Sopravvissuti) la tragedia del volo 571, cercando di costruire un’opera dal respiro universale sulla vera identità dell’essere umano.

Si diceva ritornare al passato. E, infatti, il regista catalano parte subito dagli antefatti della tragedia (o del miracolo) che si sta per compiere tra le vette delle Ande. In una delle prime sequenze del film, assistiamo ad un’azione corale della squadra in una partita di rugby, sport nel quale per arrivare a fare meta è necessario uno sforzo, o meglio, un sacrificio collettivo finalizzato a portare la palla oltre la linea. È come se Bayona ci dicesse da subito in che cosa dobbiamo credere, anche quando la sorte dei protagonisti sembra essere segnata definitivamente. E così, anche quando La sociedad de la nieve ci mostra tutta la spaventosa mostruosità dell’uomo, che cerca di “reinventarsi la vita” in un microcosmo inospitale, ecco, anche quando l’essere umano è ridotto al mero istinto di sopravvivenza, il regista ci ha già dato un motivo per continuare a credere nella sua salvezza. Sono lo spirito di squadra e la fratellanza le chiavi per “scappare dal mostro”, o forse, per sconfiggerlo. Attraverso il filtro di questa prospettiva, viene impostato il racconto crudo di un’odissea ad alta quota dove la mostruosità delle azioni prese dai superstiti, nei circa due mesi dalla loro scomparsa, viene, però, sempre umanizzata. L’indagine identitaria su chi sia realmente l’essere umano, su quale sia la sua primordiale essenza, sembra assumere, in questo caso, una notevole portata esistenziale, per un film che si concentra molto più sugli sguardi, sui sorrisi sofferenti scambiati dai suoi protagonisti, che sulle loro macabre azioni. La riorganizzazione della società messa in atto all’interno dei resti del velivolo precipitato è a tutti gli effetti un miracolo in grado di realizzarsi solo grazie alla stima e alla fiducia reciproca che si trova all’interno di una squadra. E Bayona è bravissimo ad insistere su questa strada, anche quando il ritmo del film inizia inevitabilmente ad arrancare nella sua parte centrale. Rubando le parole allo stesso regista, il suo è un film sulla vita laddove la vita sembra non poter esistere.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
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Il voto dei lettori
2.76 (25 voti)

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