LACENO D’ORO 2016 – Il cinema di Keywan Karimi ad Avellino

Il regista iraniano di Writing on the City e Drum sta scontando la pena di un anno di detenzione in seguito all’accusa di “propaganda contro il governo” e di “oltraggio alla religione islamica”

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Il trentunenne regista iraniano di origini curde Keywan Karimi ha iniziato a scontare la sua pena detentiva nel carcere di Evin. Lo ha reso noto attraverso un comunicato la sua casa di produzione francese, Les Films de l’Après-Midi.
Per sostenere l’attenzione sull’inaccettabile situazione del cineasta, il Laceno d’Oro 2016 (1-12 dicembre, Avellino e provincia) presenta i film Writing on a city Drum.
ECCO IL PROGRAMMA DEL FESTIVAL

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Karimi, musulmano sunnita, era stato arrestato nel 2013 dal Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica e, nell’ottobre 2015, era stato condannato a sei anni di reclusione e 223 frustate dalla Corte Rivoluzionaria Islamica per “propaganda contro il governo” e “oltraggio ai valori religiosi” – pena successivamente ridotta ad un anno in seguito al processo d’appello. In quell’anno aveva trascorso quindici giorni in una cella di isolamento. Liberato su cauzione, negli ultimi anni Karimi è stato premiato in vari festival cinematografici internazionali, in particolare per il cortometraggio in bianco e nero The Adventure of a Married Couple (2013), ispirato a un racconto di Italo Calvino. Mentre partiva la mobilitazione per salvarlo, compresa una petizione di euro-deputati, altre condanne hanno colpito i poeti Fatemeh Ekhtesari e Mehdi Mousavi, senza dimenticare i recenti arresti dei giornalisti Isa Saharkhiz ed Ehsan Mazandarani.

Pomo della discordia, il documentario Writing on the City (2015), presentato in anteprima mondiale al Punto de Vista International Documentary Film Festival di Pamplona il 12 febbraio 2016 e vincitore del Premio Speciale della Giuria, che racconta la storia iraniana attraverso i graffiti sui muri di Teheran risalenti ad un arco cronologico che va dalla Rivoluzione Islamica del 1979 alla contestazione delle elezioni presidenziali nel 2009 da parte del Movimento Verde, con nel mezzo l’ascesa alla carica di presidente di Maḥmūd Aḥmadinežād, il 3 agosto 2005. Spiega il regista: “Per il documentario, già a partire dal 2012, ho fatto lunghe ricerche per il materiale d’archivio, chiedendo sempre i permessi, come li ho chiesti per le scene dal vivo a Teheran. Li ho anche portati ai giudici. Sapevano bene cosa stavo facendo. Eppure, il documentario non è neppure uscito, cè solo il trailer”.

karimiL’obiettivo di Karimi è quello di raccontare la storia del suo paese ai giovani, quella autentica, non la versione “rielaborata” diffusa ad arte dai giornali e dalle televisioni. Il regista si difende dalle accuse di “oltraggio al sacro” sostenendo di non avere girato scene blasfeme e di non essere in possesso di materiale fotografico passibile di incriminazione, se non una “semplice” fotografia in cui bacia sulla guancia una cugina.

Karimi è originario di Baneh, città dell’area curda al confine con l’Iraq. Il padre ha un negozio di abbigliamento, il fratello è un fotografo. Già studente di comunicazione e sociologia a Teheran, ha poi frequentato vari workshop all’estero (India, Germania, Thailandia, Russia). Si definisce un sociologo, un critico del potere, un socialista e poi anche un documentarista. Nel 2005 ha filmato il dramma del terremoto in Iran, poi Broken Border (2006), incentrato sul contrabbando di benzina tra Iran ed Iraq.

Il suo ultimo film, Drum (2016), è stato presentato alla 73a edizione della Settimana Internazionale della Critica di Venezia, ma il regista non ha potuto presenziare proprio a causa della condanna pendente. A settembre, intervistato da Teheran, aveva dichiarato: “Amo l’Iran, se quelli come me se ne vanno, chi resterà a ricostruirlo? Credo di dover rimanere nella mia terra malgrado i suoi problemi, e lavorare per migliorare le condizioni di tutti”. E ancora: “Non sono contro il mio paese e non comprendo di cosa mi incolpino. Certo, sono critico, ma voglio costruire, non distruggere. Solo, spero che in Iran, dopo il patto sul nucleare, arrivino anche migliori condizioni per gli artisti, le donne, la libertà d’espressione”.

Mideast Iran Expression CrackdownRaggiunto al telefono per un’intervista uscita su Il Manifesto dal delegato della SiC Giona A. Nazzaro, nella notte del 15 novembre scorso, Karimi ha espresso tutta la sua amarezza e la sua paura. Nonostante le pressioni esercitate e la presenza del suo film a Venezia, la comunità internazionale del cinema non ha risposto con la forza e la determinazione necessarie per una situazione così delicata. A più riprese il regista ha denunciato il suo sentirsi isolato e non supportato a dovere dal mondo del cinema e dalle istituzioni culturali, non solo iraniane. Un silenzio “assordante” e difficilmente comprensibile che ha ingenerato in Karimi uno stato di rassegnazione e frustrazione. “Non ho paura di andare in prigione – ha spiegato il regista – posso anche abituarmi all’idea di restare per un anno in una cella, ma mi spaventano molto le frustate. Non so come potrò reagire. Sono molto scosso”. E ancora: “Non capisco perché la gente non parla del mio caso. Per Jafar Panahi si sono mobilitati tutti. Io invece sono solo”. Sulla difficile situazione del regista e sulla mancanza di sostegno internazionale pesa evidentemente in maniera decisiva la sua origine curda, a sottolineare una volta di più la complessità geo-politica e religiosa del caso. Un altro dato, probabilmente non casuale, suscita sospetti ed inquietudine: la stringente coincidenza fra la data dell’arresto del regista e la prossima inaugurazione del Cinema Vérité – Iran International Documentary Film Festival che si terrà a Teheran dal 4 all’11 dicembre. Quasi un monito a “modulare” con cautela la propria voce per tutti coloro, nella fattispecie cineasti e artisti, che intendono esprimere idee e punti di vista, anche in considerazione delle imminenti scadenze elettorali nel paese. .

QUI la pagina facebook di solidarietà al regista

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