“Lasciare libero lo spettatore”. Alice Rohrwacher a Sentieri Selvaggi

Lo scorso 13 febbraio abbiamo incontrato la regista di Lazzaro Felice e Le Meraviglie, segnalata da Bong Joon-ho tra i talenti che “cambieranno il nostro immaginario nei prossimi vent’anni”

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«Per custodire dei miti bisogna anche smitizzare tutto il processo e renderlo più umano possibile».

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Le parole di Alice Rohrwacher, regista e sceneggiatrice protagonista dell’incontro con il pubblico e gli studenti organizzato dalla redazione di Sentieri Selvaggi, racchiudono la sua concezione del “fare cinema”: un processo spontaneo, urgente, inevitabile e al tempo stesso privo di inutili fronzoli, dove ogni espediente è finalizzato a restituire una certa visione del mondo e dell’arte, a stabilire un rapporto bilaterale con il pubblico. Un patto che esclude sin dalla prima inquadratura la possibilità di costruire un inganno per gli occhi dello spettatore: «la prima immagine di un film è come la prima parola che si dice, il primo incontro con qualcuno». Per questo ha scelto di iniziare tutti i suoi lungometraggi con un’immagine buia, «perché il film nasce dal buio, che aiuta l’immaginazione dello spettatore, al fine di instaurare un rapporto bivalente. Il film chiede così allo spettatore di partecipare al gioco». Retaggio dei ricordi d’infanzia dei frequenti viaggi in auto tra l’Italia e la Germania, quasi sempre il suono è incaricato di guidare il tragitto, la percezione, la fantasia: come la piccola Alice amava immaginare luoghi ricollegabili ai suoni che sentiva, è la componente sonora nei suoi lavori di adulta il primo elemento di attrazione, ancor prima dell’immagine. Lo spettatore comprende in questo modo il compito che gli viene affidato, la responsabilità (e la libertà) di completare un’opera già creata ma in un certo senso ancora “aperta”, “in divenire”, partecipando attivamente a questo processo. Talvolta provando un’emozione intensa e un’immedesimazione, altre volte essendo coinvolto esclusivamente con l’atto del guardare, senza identificarsi nei personaggi (come accade, ad esempio, in Lazzaro felice). In questa operazione risulta fondamentale la musica, per cui la regista ammette di avere un amore sconfinato: «Quello che mi ha fatto la musica purtroppo non me l’ha fatto mai nessun film. Ho quasi troppo amore per la musica e infatti l’ho sempre usata con grande parsimonia. Quando viene usata senza rispettare il suo valore, in maniera spropositata, a me dà molto fastidio come spettatrice». Sceglie dunque «una musica che riesce a dialogare con il film, ad amplificare un pensiero o uno stato d’animo che non nasce dalla storia ma dal vedere quella storia».

Mentre i suoi primi due film, Corpo celeste (2011) e Le meraviglie (2014), impiegano una musica naturale e diegetica, in Lazzaro felice (2018) ne viene inserita una extradiegetica ed evidente (si avverte distintamente il clic dello stereo che la emette) proprio per scoraggiare l’identificazione. Tant’è che la musica, «tesa ad innalzare un pensiero, uno struggimento», acquisisce così tanta autonomia da fuoriuscire liberamente dalla Chiesa e seguire il giovane protagonista. 

Nonostante la parentesi televisiva, più “canonica”, della seconda stagione della serie Rai L’amica geniale, in continuità con il lavoro di Saverio Costanzo, la Rohrwacher ha saputo costruirsi una cifra distintiva, una forte identità registica ben riconoscibile, aperta alla sperimentazione come diversi colleghi italiani della sua generazione.

Alice Rohrwacher racconta L’AMICA GENIALE from sentieriselvaggi30 on Vimeo (riprese di Daniele Salvatore e Emanuele Santi, montaggio di Daniele Salvatore).

 

Non per niente, il recente premio Oscar Bong Joon-ho (Parasite) l’ha citata tra i talenti emergenti del momento che «cambieranno il nostro immaginario nei prossimi vent’anni», unica italiana accanto a registi del calibro di Alma Har’el, Ari Aster, Jordan Peele, Chloé Zhao.

Provocatrice, destabilizzatrice dello status quo per sua natura, non rinuncia a utilizzare i mezzi tradizionali del cinema (scelta che oggi appare insolita e da un certo punto di vista anticonvenzionale): alla tecnologia digitale preferisce la pellicola, importante strumento per limitare l’odierna produzione smodata di immagini. Inscena «storie di fallimenti, ma pieni di speranza», riuscendo a far apprezzare il lavoro paziente e minuzioso della sceneggiatura, anche quando un percorso non porta a niente. «È un po’ come andare a pesca, gettare una rete dorata in questo fiume: a volte non peschi niente, a volte fai una ricca pesca». 

Fondamentale per districarsi sul set, tra la serietà dei grandi attori e la praticità delle comparse, due modalità differenti che dialogano e si influenzano reciprocamente, rimane il lavoro collettivo e le numerose prove preventive.

«Fare un film è come tenere un uovo, senza disintegrarlo, in un gran casino, attraverso un caos».

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    2 commenti

    • Autrice molto sopravvalutata da parte di un regista sopravvalutato. Ho trovato in particolare l’ultimo film della Rohrwacher un pasticcio dei peggiori, con alte ambizioni e risultati discutibili. Prima di tutto, il soggetto, poi l’esecuzione assolutamente banale e, come dicevo, pretenziosa e basta. Un passo indietro rispetto al film precedente che risultava positivo nel caratterizzare i personaggi con estrema grazia ed efficacia. Peccato che, anche lì, le metafore appesantivano l’opera.

    • Autrice sopravvalutata da un regista sopravvalutato. “LAZZARO FELICE” è un brutto pasticcio con un soggetto banale e pieno di metafore irricevibili. Un film vecchio, che sembra provenire dai peggiori anni ’90 del cinema d’autore nostrano. Meglio “LE MERAVIGLIE”, oggettivamente brillante nel tratteggiare con grazia e verità i personaggi ma purtroppo, anche in quel caso, l’opera è ammorbata da pesanti metafore che dovrebbero elevare intellettualmente il tutto.