Le bruit des moteurs, di Philippe Grégoire

Con toni dissacranti e grotteschi il film racconta la vita di confine, con il protagonista accusato di comportamenti sessuali inadeguati. In concorso.

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Il modo più interessante per guardare Le bruit des moteurs è probabilmente quello di abbandonare le coordinate ordinarie. La storia ha un carattere grottesco dentro uno spirito inquieto e spiazzante, invita a perdersi nelle immagini, nei suoi significati reconditi e criptici, ed il fraintendimento diventa una scorciatoia per la verità, una delle tante. Alexander lavora alla dogana canadese, con il compito di insegnare ai colleghi l’uso delle armi da fuoco. In seguito ad un incidente, viene accusato di comportamenti sessuali inadeguati, ed è costretto ad una licenza forzata. Decide di trascorrerle nella sua piccola cittadina di nascita, poco lontana dal confine dove presta servizio, a casa della madre, proprietaria di una pista automobilistica. Ma i suoi guai sono solo al principio. Un maniaco lascia infatti in giro dei disegni di carattere pornografico, ed i sospetti della polizia locale, gli occhi della legge, visti i precedenti, finiscono puntati su di lui.

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Lo stile del film di Philippe Grégoire ricorda molto da vicino il lavoro di Quentin Dupieux, soprattutto Rubber, mentre le atmosfere sono quasi un’emanazione del processo kafkiano, vista l’assurdità dei capi d’accusa, un’assurdità percepita dal solo protagonista, non a caso nella parte dell’indagato. A rendere il quadro ancora più caricaturale sono i dialoghi ed i personaggi, tutti sopra le righe, e le immagini, peraltro curatissime, giocate in modo distonico, tra una macchina ripresa a sbandare sopra la pista ed un interrogatorio surreale.
La primissima parte la tematica affrontata dal regista è quella legata alle politiche sull’immigrazione, ed agli inasprimenti seguiti agli attentati alle Twin Towers, con gli impiegati al confine costretti ad imbracciare un’arma. Un ordine che fa nascere opinioni divergenti all’interno della squadra, ed una storia, quella legata alla dogana, esaminata in totale cognizione di causa, essendo la professione esercitata dal regista per pagarsi gli studi. Ma l’argomento portante è legato al pregiudizio. Alla fatica di affrancarsi dallo stesso una volta diventati vittime, sia quella di un’opinione pubblica pronta a condannare il pervertito. Sia di un sistema di potere rozzo, ignorante, che prende in questo caso le sembianze di un agente di polizia o quella di un capo troppo insistente nel rivendicare il suo grado, con fare ricattatorio. Il carattere semiallucinatorio, le musiche poco rassicuranti, i comportamenti ai limiti del comprensibile, fanno fatica a reggere un dinamismo, nell’insieme si perdono l’uno dentro l’altro, lasciando delle perplessità, se non dei dubbi, quando la narrazione diventa troppo oscura.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
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Il voto dei lettori
2 (1 voto)
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