L’epoca geniale, di Tommaso Donati

Una riflessione sul rapporto filosofico tra maturità e infanzia che esplora il concetto di corpo, soggetto e inquadratura. Questa sera per Docusfera #2 da Sentieri Selvaggi a Roma h 19:30

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“Che è mai quest’epoca geniale, e quando fu?”

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Questo era l’interrogativo del romanzo di Bruno Schulz L’epoca geniale. Anni dopo, il regista Tommaso Donati segue la medesima riflessione dello scrittore svizzero sulla possibilità di un dominante spirito fanciullesco, sfruttando il diverso linguaggio dell’audiovisivo ed esplorando il concetto di corpo, soggetto e inquadratura.

Un’opera i cui fondamenti sono legati ad una riflessione tutt’altro che scontata, dalla difficile interpretazione, sul rapporto filosofico tra maturità e infanzia. Tanto si è scritto, elucubrato, osservato sul tema. Ma ciò che colpisce nell’approccio del documentario L’epoca geniale è l’angolazione che usa il suo regista per trattare un argomento così difficilmente collocabile in un unico orizzonte di pensiero. Il soggetto intercettato dalla macchina da presa è una scuola di circo, o meglio, i suoi giovanissimi studenti che svolgono, con i rispettivi insegnanti, infiniti esercizi di equilibrio, che si ripetono ossessivamente per tutta la durata del film. Il quadro entro cui si concretizza il movimento dei giovani apprendisti, a volte sinuoso, altre volte ancora troppo acerbo, in via di definizione, ne stravolge il punto di vista, mai centrato sull’interezza del corpo ma solo su alcuni particolari. Così, un esercizio di addominali sul quadro svedese è inquadrato nel suo svolgimento solo quando la bambina si trova a testa in giù. In altri casi, vediamo prima le gambe di un allievo alle prese con un esercizio di equilibrio per poi scrutarne il viso serio, concentrato. Come Schulz giocava con parole e frasi, così sembra fare Donati all’interno delle proprie inquadrature, sempre statiche, in cui è il profilmico a giocare costantemente con il filmico, in un in and out tra il tentativo dei giovani allievi di acquisire una maturità nei movimenti assegnati e l’incertezza e precarietà della loro essenza di bambini.

Cosa si nasconde ai lati dell’inquadratura? Forse, proprio l’effettiva potenzialità dei giovani circensi, in grado di svelarsi solo in tre momenti del documentario, nei quali, davanti a un foglio bianco, tre manine, sempre diverse, disegnano qualcosa di estremamente naturale e imperfetto, senza avere l’esigenza di correggerlo.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8
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Il voto dei lettori
2.5 (2 voti)
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