L’importanza di riscoprire Alice Coltrane

La pubblicazione della registrazione del suo concerto al Carnegie Hall nel 1971, per la prima volta in versione integrale, permette di riscoprire un genio sottovalutato della storia del jazz

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Dopo oltre 50 anni di attesa, lo scorso 22 marzo è stata pubblicata da Universal Music Italia la registrazione integrale del concerto tenuto da Alice Coltrane al Carnegie Hall di New York nel 1971, fino ad oggi inedita. Spesso considerata principalmente per il contributo alla musica del marito John, all’epoca scomparso da solo quattro anni, Alice Coltrane è stata a lungo sottovalutata per il ruolo che ha avuto la sua esperienza successiva nell’evoluzione del jazz dell’epoca.

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I suoi brani sono infatti una chiara testimonianza del percorso di sperimentazione che intraprese proprio in quegli anni, influenzato innegabilmente dalle culture orientali. Nel 1971 era infatti reduce dalla pubblicazione di Journey In Satchidananda avvenuta appena l’anno prima (suo quarto album da leader), nonché da un viaggio di cinque settimane in India. Al Carnegie Hall si esibisce con un ensemble di all stars, ma dalla composizione piuttosto peculiare. Oltre ai sassofonisti Pharoah Sanders e Archie Shepp e ai batteristi Ed Blackwell e Clifford Jarvis, appaiono infatti anche Kumar Kramer e Tulsi Reynolds, rispettivamente all’harmonium ed alla tamboura ed entrambi facenti parte proprio della cerchia di Swami Satchidananda.

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Il risultato è costituito da pezzi strumentali che avvicinano il jazz di Alice Coltrane al mondo del rock psichedelico – anch’esso sempre più influenzato dalle filosofie orientali, a partire dal viaggio che avevano compiuto similmente i Beatles all’insegna della meditazione con il guru Maharishi Mahesh Yogi e che avrebbe giocato un ruolo centrale negli ultimi album della band -, con le composizioni tutte di oltre 15 minuti. I primi due brani del live set, Journey in Satchidananda e Shiva-Loka, sono l’esatta sublimazione di quanto detto, capaci di esplorare territori sconosciuti per il jazz, veri e propri trip psichedelici, trascendentali. Non manca però anche uno sguardo rivolto al passato, con i successivi due pezzi Africa e Leo, attinti proprio dal repertorio di John Coltrane e composte rispettivamente nel 1961 e nel 1967.

The Carnegie Hall Concert permette quindi di immergersi in un’epoca in cui la musica era una materia estremamente malleabile, in contatto con la propria storia recente ma in continua mutazione; un’epoca in cui i confini di ogni genere sembravano infrangersi, spinti da un irripetibile (ed effettivamente mai ripetuta) sperimentazione sensoriale prima che sonora, in cui le maggiori influenze derivavano da pratiche extra-musicali e si connettevano alla voglia di cambiamento che permeava l’intera società, dando forma alla controcultura. Il disco, imperdibile chiaramente in primis per gli amanti del jazz, non può che trovare terreno fertile in chiunque ami la musica come esperienza spirituale; una sorta di ponte tra la musica dello stesso John Coltrane e le sensazioni di The Piper at the Gates of Dawn dei Pink Floyd di Syd Barrett.

La pubblicazione del live set arriva grazie alla collaborazione di Impulse Records e The Verve Label Group con The John & Alice Coltrane Home per il progetto L’anno di Alice, 12 mesi di celebrazione delle opere della musicista afroamericana, troppo spesso dimenticata o quantomeno sottovalutata, ma che ha assolutamente diritto di cittadinanza tra i grandi del jazz e non solo.

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