LOCARNO 55 – Delicatezze austriache: "Blue Moon" di Andrea Maria Dusl

l'esordio della regista austriaca, classe 1961, arrivata al lungo dopo sei corti, è una storia d'amore di quelle un po' vecchio stile, fra Lubistch e Wilder, dove gli incontri sono casuali ma determinanti, le passioni struggenti, la parte comica controbilanciata da una faccia drammatica. Un film delicato ma, a suo modo, anche coraggioso.

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"Delicato" è l'aggettivo che meglio si adatta a descrivere sinteticamente Blue Moon, l'esordio dell'austriaca Andrea Maria Dusl, passato in concorso a Locarno fra un dramma e l'altro, fra uno stupro e un aborto, fra una fuga e una sconfitta senza ritorno e riparazione. Tanto che l'aggettivo, normalmente riduttivo (l'omologo emozionale di "carino"), assume invece, all'interno di questa edizione del Festival, un valore e una coloritura diverse.

Carino perché la regista, classe 1961, arrivata al lungo dopo sei corti, sceglie –  verrebbe da dire coraggiosamente – di raccontare una storia d'amore. Una storia di quelle un po' vecchio stile, fra Lubistch e Wilder (ma con una spruzzatina di Kusturica), dove gli incontri sono casuali (quanto casuali!) ma determinanti, le passioni struggenti, la parte comica controbilanciata da una faccia drammatica (ma non tale da fagocitare l'altra), il lieto fino davvero lieto, e anche un po' eccessivo, da entusiasmante "e vissero tutti felici e contenti".

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La storia, in breve, racconta di come Johnny Pilcher, fra Slovenia e Ucraina, incontri, si innamori, perda e riconquisti Jana. A dire il vero, l'identità della donna rimane circondata fino alla fine da una certa vaghezza: prima è Dana, poi Jana, la sua gemella, ma viene il dubbio che sia sempre la stessa e comunque tale è agli occhi dell'uomo, che infatti, quasi immediatamente, abbandona il proposito di cercare Dana.


Il film, come detto, ha il pregio della delicatezza e del garbo, tanto nei dialoghi quanto nella regia, e allo stesso modo funzionano gli attori principali, affiancati dall'eccentrico ed esorbitante Detlev W. Buck, un affarista truffaldino ma di buon cuore. La commedia di tanto in tanto cede il passo al dramma (proprio in relazione all'identità della protagonista femminile), mentre la biografia del suo partner mantiene fino in fondo una deliziosa (come a dire delicata…) enigmaticità. E' in questi dettagli – e nella struttura di alcune sequenze, in certe piccole incongruenze, in certi scarti drammaturgici – che Wilder incontra Kusturica e che il meccanismo della commedia hollywoodiana si slabbra aprendosi a una surrealtà comica o a un dramma dai toni grotteschi o raggelati, infine scaldati – e con quanto ardore – dal ricongiungimento dei due. Delicato, dunque, ma, a suo modo, anche coraggioso. Perché parlar d'amore, oggi, con una "ingenuità" tale, non è cosa comune. Di certo, non lo è quest'anno a Locarno.


 

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