LOCARNO 57 – La necessità e il dolore del perdono

In Concorso, Forgiveness del sudafricano Ian Gabriel, storia della rabbia, della sete di vendetta e della necessità del perdone che colpisce gli uomini e le donne di un paese ancora segnato dalle ferite indelebili lasciate dai crimini dell'Apartheid.

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La linea del perdono passa per il Sud Africa appena risvegliatosi dall'incubo dell'Apartheid. È una linea sottile, quasi inesistente, che separa la vita dalla morte, il ricordo dall'oblio, e che nessuno riesce a tracciare o percorrere per intero. Forgiveness di Ian Gabriel, per ora unico film interessante del Concorso Internazionale, parla, per l'appunto, di perdono, di ricordo che si fa ossessione e che necessita di un'elaborazione condivisa e non solo personale.

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La storia è quella di un ex poliziotto bianco che, nonostante sia stato graziato dall'amnistia, vive ossessionato dal ricordo di un crimine commesso ai tempi dell'Apartheid: deciso a pagare per le proprie colpe, visita la famiglia della sua vittima, un giovane attivista sospettato di terrorismo, e cerca in tutti i modi di ottenere il loro perdono. Sospeso in un'atmosfera di tensione continua, immerso in un paesaggio desertico in riva al mare dove i colori si perdono in un magma indistinto di ocra, sabbia e blu scuri, Forgiveness gioca la sua partita con la morte e la memoria in toni imprevedibili e inconsueti: è girato in alta definizione, ha uno stile che alterna classicismo e macchina a mano, una fotografia stinta che rischia l'effetto pubblicitario, un'attenzione ai particolari che spesso scivola nell'estetismo. Ma a lungo andare, una tecnica cosi marcata e pesante, nonostante l'iniziale fastidio e un vago sentore di inutilità, trova uno sbocco, e trova un proprio percorso incidentato e doloroso, lungo il quale arrivare alla verità dei volti e dei corpi dei personaggi.


Il dolore, la rabbia, la sete di vendetta, la necessità del perdono, infatti, scavano solchi nelle anime dei personaggi e nelle loro azioni. Il film acquista fisicità, materlialità, e in un mondo dove il sangue si mischia alla terra e le tombe sono ricoperte di reti di pescatori per impedire ai morti di tornare indietro, il passato e il rimosso di una nazione riescono faticosamente a venire a galla e a trovare una rielaborazione: la famiglia del ragazzo scopre la verità sulla morte del figlio, mentre per l'assassino perdonato l'inevitabile morte per vendetta arriva come una liberazione, un atto doloroso e necessario, al quale danno risonanza le parole di Desmond Tutu che chiudono il film: perdonare, dice pressappoco, è necessario, non dimenticare anche, per impedire al passato di imprigionarci ancora una volta nella gabbia dell'orrore.

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