LOCARNO 66 – "Une autre vie", di Emmanuel Mouret (Concorso)
Dopo aver raccontato la confusione sentimentale con i toni scherzosi e surreali di Changement d'adresse e quelli, appena più drammatici, di Un baiser, s'il vous plâit, Mouret approccia il mélo puro, ma conferma i dubbi sollevati dalle sue opere precedenti. Nella ricerca di uno stile classico, il film resta prigioniero di una confezione museale, ormai tipica di certe produzioni televisive
Aurore è una giovane e talentuosa pianista, che dopo anni di tournée sente di "non avere più corrente dentro di sé"; Jean un elettricista che in vita sua ha conosciuto un solo amore, Dolores, a cui è cresciuto accanto, senza porsi domande sulla possibilità di un'altra vita.
Ne nasce un triangolo amoroso nutrito di melodramma e accenni di noir, suggeriti più che dalla trama da una colonna sonora che ricalca il tema hermanniano di Vertigo, unito alle passioni trattenute di tanti film di Claude Sautet.
Dopo aver raccontato la confusione sentimentale con i toni scherzosi e surreali di Changement d'adresse e quelli, appena più drammatici, di Un baiser, s'il vous plâit, Mouret approccia il mélo puro, ma conferma i dubbi sollevati dalle sue opere precedenti su una mancanza di maturità, di profondità necessaria che permetta ai suoi lavori di adottare uno sguardo personale e originale, pur restando nel solco di una tradizione a cui sente di appartenere.
Nel tentativo di adottare una foggia classica, Mouret invecchia il suo film con stilemi abusati, trasferiti ormai da anni nelle produzioni televisive: le musiche invasive e ridondanti, che violentano immagini di per sé neutre appiccicandogli una tensione lontana dalla trama, rovinandone l'intuizione migliore, ossia la calma, un certo perbenismo borghese che i protagonisti mantengono, nonostante le passioni in cui si agitano. Come se il mélo fiammeggiante non fosse più attuabile in un'epoca come quella attuale.
E invece, nonostante gli attori (e specialmente le protagoniste femminili Virginie Ledoyen e Jasmine Trinca, di nuovo in Francia dopo il meraviglioso L'Apollonide) si trattengano, recitino sottovoce le loro accorate dichiarazioni d'amore e gli scontri verbali tra le due donne si trasformino in riflessioni tout court sul significato dell'amore, la confezione museale messa a punto da Mouret rovina in gran parte l'effetto finale.
Une autre vie segna un mezzo passo falso per il Concorso internazionale. Che dopo diversi film "teorici" come Pays barbare o quelli di Porumboiu e Joanna Hogg, doveva giustamente distendersi e trovare un respiro meno grave. Ma a questa via preferiamo di gran lunga la grazia di Hong Sang Soo o la vitalità del tedesco Wetlands, scorretto e gioioso.