"Mi piace filmare ciò che di più si avvicina alla reale sostanza della vita": incontro con Steven Spielberg

“Prova a prendermi” finisce dove incomincia lo Spielberg futurista, è una sorta di lungo flashforward che già anticipa (forse) il tono e l'asprezza nascosta dello Spielberg di domani. Ce ne parla Steven Spileberg, a Roma con Tom Hanks e Leonardo Di Caprio per la presentazione del film.

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Qualcuno ha già provato (perlomeno a livello pubblicitario) a spacciare l'ultimo Spielberg come una sorta di pausa presa tra un capolavoro (questo lo aggiungiamo noi, ma per A.I e Minority Report non troviamo definizioni migliori) e l'altro. Attenzione, niente di più sbagliato. Prova a prendermi finisce dove incomincia lo Spielberg futurista, è una sorta di lungo flashforward che già anticipa (forse) il tono e l'asprezza nascosta dello Spielberg di domani. Liquidarlo con leggerezza sarebbe imperdonabile. Dunque, cerchiamo di capire qualcosa in più dallo stesso Spielberg, giunto a Roma per la presentazione del film insieme a Tom Hanks e a Di Caprio, un abituè ormai dei salotti romani. In conferenza stampa l'atmosfera è serena, abbiamo come l'impressione che il film sia piaciuto un po' a tutti, certo è che le interpretazioni dell'opera sono già tante, ma forse la cosa migliore è lasciare la parola allo stesso Spileberg.

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In cosa è cambiato il suo sguardo da Minority Report a quest'ultimo film?


In realtà non lo trovo affatto cambiato. Vi confesso di trovarmi in un periodo di passaggio della mia vita professionale, dunque ho sicuramente voglia di rimettermi continuamente in gioco, di cambiare anche, pur mantenendo intatto lo spirito con cui mi metto a girare un film. E' soltanto questione di punti di vista. Quando mi interesso ad un copione, cerco di svolgere prima un accurato studio su di esso, per poi cercare di filtrare tutto quello che mi pare interessante attraverso la mia personalità, i miei gusti, le mie preferenze. Credo inoltre, in trent'anni di carriera, di non avere mai privilegiato un solo registro, o un genere preciso, ma di avere sempre cercato di affidarmi al mio istinto, sapendo che per uno come me è sempre la cosa migliore da fare.


Come le è venuto in mente di girare un film sulla storia di Frank Abbagnale?


Sono un regista, dunque innanzitutto un ladro di cinema, e ancor di più di storie. Quella di Abbagnale mi è sembrata una storia che da un punto di vista cinematografico potesse funzionare benissimo. Dopo aver pensato nel corso di questi ultimi anni a realizzare i mie due ultimi film a cui tenevo moltissimo, ho pensato di portare sullo schermo una vicenda che mi ha sempre interessato e nondimeno divertito. Inoltre mi sono trovato molto bene nel filmare gli anni '60, che trovo un periodo storico molto stimolante, pieno di spunti interessanti. Sembrerà pure un film molto diverso da quelli che faccio solitamente, ma vi assicuro che si muove su una superficie non dissimile da quella delle mie altre opere.


Cosa intende?


Ma semplicemente che non è vero che abbia abdicato per questa volta alla mia cifra consueta. Il cambiamento va cercato non tanto nella forma, ma nel contenuto visto che mi sono trovato nei paraggi di un racconto molto diverso da quelli che scelgo solitamente. Se il mio cinema è una sorta di dispositivo emozionale in cui di volta in volta mi metto in gioco senza risparmiare nulla, questa volta posso dire di avere fatto lo stesso, trattando però un tema abbastanza insolito, perlomeno per me.


Allude dunque anche all'ambientazione carica di contrasti cromatici e non…


Senza dubbio. Se una parte del tessuto narrativo è senz'altro inscritto su una tensione comica-leggera abbastanza pronunciata, è anche vero che gli anni '60 che descrivo rappresentano un periodo pieno di agitazione, di contrasti, il lungo risveglio di un America che stava cambiando lentamente. E' proprio per questo dunque che la storia di Abbagnale assume una specie di doppio significato: da una parte giravolta pericolosa su come servirsi della propria intelligenza per riuscire sempre a cavarsela, dall'altra ritratto malinconico e triste sulla perdita dell'innocenza. Ho molto amato questo personaggio, mi sono quasi identificato in lui, e mi sono accorto mentre giravo, che quella che stavo filmando era la storia del cambiamento di un uomo e al tempo stesso di un intero Paese. Mi sono dunque divertito molto nel non privilegiare della storia una sola chiave di lettura, ma di tenerle sempre in riserbo almeno due, sperando si avverta che la serenità di certi momenti viene poi interrotta dall'irruzione di un qualche altro sentimento. Mi piace insomma filmare ciò che di più si avvicina alla reale sostanza della vita.

A che punto si trova della sua vicenda professionale dopo aver girato tanti film in un periodo così breve di tempo?


Come ho già detto prima, mi trovo in un periodo di passaggio. Continuo a riconoscermi in tutto quello che ho girato sino a questo momento, eppure allo stesso tempo mi sento inquieto, desideroso insomma di continuare nel mio tragitto professionale. Mai come in questo periodo inoltre mi sento come attratto, incuriosito, da tante piccole cose, registro quotidianamente il loro effetto sulla mia vita, e provo a tramutare queste sensazioni nel film che magari girerò domani. Per quanto mi riguarda, è vero che sono tanti anni che faccio ormai questo lavoro, ma è come se mi sentissi un quasi esordiente con un'emozione che si ripete di volta in volta, sempre più forte.



Sa dirci se questo suo ultimo film è soltanto una parentesi, o l'apripista per una nuova stagione…


Non vi nascondo che passare da Dick ad Abbagnale mi ha dato quella giusta energia in grado di farmi immergere totalmente nel mio lavoro, dunque per il momento voglio soltanto gustarmi il lavoro fatto, senza pensare a quello che mi attende nel futuro. Posso ritenermi inoltre molto soddisfatto per aver girato questa mia ultima opera sotto la diretta influenza di precedenti a dir poco illustri. Mi viene da citare Billy Wilder, ma anche Richard Lester, soprattutto per la scioltezza ironica e maliziosa con cui ho tentato di narrare la storia del delinquente più famoso d'America. E' bello continuare a fare film, tenendo sempre presenti nella memoria i grandi titoli della storia del cinema che di volta in volta influenzano il mio lavoro. E poi lavorare con Hanks e Di Caprio, che secondo il mio parere sono tra i più grandi attori del cinema americano di oggi, è una soddisfazione di non poco conto. Amo molto i miei attori, vederli recitare nelle mie storie è un'emozione a cui non mi abituerò mai abbastanza.


Lo ha visto l'ultimo film di Benigni, Pinocchio, e se sì, che ne pensa?


Amo molto Roberto, ho visto Pinocchio e mi è piaciuto moltissimo. Mi è piaciuto per la sua fantasia, per il suo estro figurativo, per essere in film adatto ai bambini , ma anche al pubblico più adulto con i suoi tanti, diversi livelli di significazione. Ho però avito la sfortuna di poterlo vedere una prima volta soltanto in lingua originale non sottotitolata, dunque almeno nella prima visione mi sono perso molte sfumature del testo e del riadattamento di Benigni. Stasera comunque ne parlerò direttamente con lui, visto che io Tom e Leonardo saremo suoi ospiti a cena.


 


Spielberg arriva così a parlare addirittura di Benigni, mentre Hanks e di Di Caprio lo affiancano con fare ironico e disinvolto. Ma è soprattutto Hanks che ci convince appieno. E' uno dei più grandi attori del cinema di oggi, ma non sembra prendersi troppo sul serio a differenza di quanto fa Di Caprio. Ride, scherza, gioca coi microfoni. E risponde amabilmente alle domande.


Lei rappresenta appieno l'uomo americano medio, nella tradizione che discende sino a James Stewart. Cosa ha provato ad interpretare questo ruolo?


Lavorare con Spielberg è un onore, e al tempo stesso un onere non indifferente. E' uno dei più grandi registi viventi, dunque non appena ho letto il copione sono subito rimasto colpito dalla freschezza e dalla originalità della situazioni che lo affollavano. Mi sono trovato molto bene nella mia parte, credo sia un ruolo che mi si confaccia molto. D'altronde il mio personaggio è l'altra faccia del protagonista, ma entrambi rappresentano due facce della stessa medaglia. Si tratta sempre di individui che si muovono su di uno sfondo in progressivo cambiamento, alimentandosi di continuo delle stesse fobie, paure, ossessioni. E' stato dunque molto stimolante vedere che in realtà i due antagonisti non sono altro che le proiezioni distorte di uno stesso sguardo. Per quanto riguarda invece la mia metamorfosi continua nei panni del cosiddetto uomo medio, dico con grande sincerità che non mi pongo mai il problema del ruolo scegliere, della parte da interpretare. Si tratta di leggere un copione, o al massimo di lasciarmi guidare da una sorta di istinto naturale che mi suggerisce all'orecchio che ruoli scegliere. Quello che più mi ha convinto del mio personaggio, è stato in questo frangente il trovarmi di fronte ad una possibile caratterizzazione doppia: da una parte rigido osservatore della legge e dei suoi processi, dall'altro uomo capace di provare dei sentimenti, di amare, e di entrare dunque in una strana empatia con il protagonista.


Di Caprio fa larghi segni di accenno, le domande che gli vengono rivolte non differiscono quasi mai da quelle che gli sono state fatte due settimane fa in occasione della conferenza stampa di Scorsese. Pare che molti giornalisti abbiano a cuore il sapere come si senta ad essere l'idolo di tante teenager. A noi francamente la questione interessa poco, anzi per niente. Dobbiamo comunque dire che l'attore italoamericano ci è parso molto più a suo agio nel film di Spielberg che non in quello di Scorsese.


Per il resto, la conferenza si chiude tra gli applausi dei giornalisti in sala, mentre non possiamo fare a meno di pensare una cosa. Benigni e Spielberg a cena insieme, loro due, tra i pochissimi registi-bambini ancora in circolazione, come ha scritto Federico Chiacchiari. E in fondo Prova a prendermi altro non è che l'ennesima fantasia concretizzatasi in visione adulta.


Spielberg continua a sognare.

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