"Munich" di Steven Spielberg

“Munich” è un film che precipita, che impedisce di vedere, allo spettatore come ai protagonisti, ciò che stanno facendo, il senso delle loro azioni: difficilmente si è visto in Spielberg una tale sfiducia nelle capacità individuali, nella possibilità del soggetto di salvare il mondo.

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Una scritta compare subito dopo il titolo e prima dei titoli di testa e avverte lo spettatore che il film a cui stanno per assistere è basato su eventi reali. È da questa affermazione, ambigua come sempre nel cinema, che prende le mosse Munich di Steven Spielberg. Ciò che dovrebbe ancorare la produzione di finzione (il film) ad un reale (presunto) è proprio il ripetere l'evento a cui fa riferimento. Ma questo è impossibile. Dopo le due ore e trenta del film, l'impossibilità di una qualsiasi verità è ciò che politicamente resta tracciato nelle immagini legate agli eventi sanguinosi delle olimpiadi di Monaco del 1972.  Se l'ultimo Spielberg ha mostrato un interesse crescente per l'ambiguità del travestimento, della simulazione dell'esistenza (da Prova a prendermi a The Terminal), è con Munich, che il suo discorso arriva alle conseguenze più agghiaccianti. Ciò che il regista descrive è un processo lento e inesorabile di perdita. La perdita di un'identità (o forse la consapevolezza di non aver mai avuto un'identità) che trova in Avner il soggetto ideale. Soggetto appunto, singolo immerso in un circuito potenzialmente senza fine, e soggetto alle dinamiche di una vendetta, agente solo apparentemente consapevole gettato allo sbaraglio, con una lucidità e una progettualità senza precedenti. Il soggetto dubita e il dubbio è angoscioso, dubita non solo della verità e della giustizia dei suoi atti (iniziare una spirale di omicidi per vendicare la sorte degli atleti uccisi dal commando dell'organizzazione estremistica "Settembre nero"), ma finisce per dubitare anche della sua capacità di sottrarsi (come singolo, come soggetto) alla nebbia di incompresibilità che lo avvolge.


Munich è un film che precipita, che impedisce di vedere, allo spettatore come ai protagonisti, ciò che stanno facendo, il senso delle loro azioni: difficilmente si è visto in Spielberg una tale sfiducia nelle capacità individuali, nella possibilità del soggetto di salvare il mondo ("Chi salva una vita salva il mondo intero" era il leitmotiv di Schindler List). La realtà in cui precipitano Avner e i membri del commando del Mossad è e rimane totalmente ambigua, doppia nel vero senso della parola: durante tutto il film (rigorosissimo e quasi glaciale nella messa in scena), Spielberg moltiplica le forme di raddoppiamento della  scena, i riflessi (da Kassovitz riflesso sulla vetrina di un negozio di mobili che Avner sta osservando, alle immagini di Salameh riflesse nelle finestre della villa in cui si sta tenendo la festa).

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Il doppio è la prima forma del dubbio in Munich, a partire dalla polarità con cui l'evento "reale" viene raccontato: all'inizio del film (inframezzato con i materiali televisivi di repertorio) e alla fine (in un montaggio alternato che Spielberg non ha timore di mantenere sul filo del kitsch). Lo stesso atto è visto in due momenti differenti, con due accostamenti di montaggio differenti: lo stesso atto diventa altro, accresce la sua ambiguità, da causa chiara di una spirale di violenza, diventa immagine sfocata, impossibile da distinguere dalle altre.


Ma ciò che colpisce ulteriormente lo spettatore è la già accennata lucidità della costruzione del film. Spielberg riprende tutta una tradizione cinematografica, ricca ed internazionale, quella della Spy Story, adottandone clichè e forme della messa in scena, della costruzione e sviluppo dei personaggi, dalla formazione del gruppo ai contatti con i misteriosi mandanti, dalle riprese delle scene d'azione, ai colpi di scena, dai tradimenti ai pentimenti. Ma la medesima struttura si rovescia nell'opposto: ciò che nella Spy Story è un intreccio che deve essere sciolto per permettere la comprensione, qui è totalmente assente. Non esiste un intreccio, perché non esiste una verità finale, uno sguardo in grado di gettare luce su quanto sta accadendo.


Munich è allora un film totalmente spielberghiano, proprio perché reagisce e porta alle estreme conseguenze l'ossessione politica del regista, la libertà del singolo e la sua capacità di liberarsi dal doppio e dall'illusione. Ma la conseguenza estrema è, almeno in Munich, proprio il fallimento di questa speranza.

Titolo Originale: id.


Regia: Steven Spielberg


Interpreti: Eric Bana, Daniel Craig, Geoffrey Rush, Mathieu Kassowitz, Hanns Zischler


Distribuzione: UIP


Durata: 160'


Origine: USA, 2006

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