NSOE – Mustapha Akkad, l'Islam come racconto

È stato il narratore della storia dell'Islam. Ha descritto la resistenza del popolo libico contro l'invasione e la colonizzazione fascista. È stato il produttore esecutivo della serie Halloween: Mustapha Akkad – siriano dallo sguardo kolossal – è morto l'undici novembre scorso in Giordania, in uno degli hotel di Amman colpiti dalle bombe.

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È stato il narratore della storia dell'Islam. Ha descritto la resistenza del popolo libico contro l'invasione e la colonizzazione fascista. È stato il produttore esecutivo della serie Halloween, fin dal testo originario di John Carpenter. Mustapha Akkad – siriano dallo sguardo kolossal negli unici due, anzi tre, come vedremo, lungometraggi panarabi realizzati da regista e figura produttiva importante nella Hollywood degli anni Settanta-Ottanta – è morto l'undici novembre scorso in Giordania, in uno degli hotel di Amman colpiti dalle bombe. Il nome di Mustapha Akkad, nato nel 1930 ad Aleppo, in Siria, è legato alla doppia, e per alcuni anni parallela, attività di regista e produttore, iniziata nella metà degli anni Settanta. Ma il suo rapporto con l'industria cinematografica americana risale a diverso tempo prima. Akkad studia negli Stati Uniti, si trasferisce a Los Angeles per lavorare, fa l'assistente di produzione per Sam Peckinpah in Sfida nell'Alta Sierra (1961), fonda la Akkad International Productions. Sono prologhi ai suoi due fondamentali esordi: nel 1976 firma la sua sontuosa opera prima Al-risâlah/The message; due anni più tardi è produttore esecutivo del capolavoro di Carpenter Halloween (e in quella veste rimarrà legato alla serie fino a Halloween: resurrection del 2002).

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Da regista Akkad decide di mettere il suo sguardo maestoso al servizio di un ambizioso progetto storico-religioso come la storia dell'Islam e del suo profeta Maometto. Film-sfida, perché, come ricorda una didascalia posta all'inizio, l'immagine del profeta non si può rappresentare. Film dunque in assenza del suo protagonista e ancor più kolossal in quanto Akkad ne gira contemporaneamente due versioni: una in arabo con attori arabi (tra cui Mona Wassef e Abdallah Geith) di tre ore e venti minuti; una in inglese (con Anthony Quinn e Irene Papas) di due ore e cinquanta minuti; diversi attori secondari compaiono in entrambe le versioni. Differenze di durata necessarie (spiega lo stesso regista nel documentario realizzato sul set e inserito come extra nel doppio dvd inglese che contiene entrambi i testi) perché il modo di recitazione e la struttura narrativa della versione araba richiedevano tempi e scene più espanse. Ne esce un doppio/unico film che si inscrive nella tradizione del kolossal storico, ma anche un'opera storico-religiosa che vira verso il western nella rappresentazione del rapporto fra gli uomini, i singoli e le masse, e il deserto, vero e proprio protagonista che ospita l'avanzata, le soste, le lotte, le divisioni e gli esodi. Akkad dimostra grande abilità nel disegnare per totali e camera a mano ravvicinata un'epoca, inaugura entrambe le versioni con la cavalcata nel deserto di un gruppo di uomini e sconfina nei due finali (ma in maniera più rigorosa in quello arabo) dal settimo secolo verso la contemporaneità. Una serie di brevi, intense inquadrature seguono quelle del grande raduno alla Mecca (ricostruita in Marocco) e mostrano masse di uomini in preghiera in abiti moderni. Il verbo di Maometto si è diffuso e questo finale è una straordinaria, rispettosa descrizione di un percorso di fede e religione lontano da qualsiasi schematismo e manipolazione fondamentalista.Il secondo (o terzo) lungometraggio Akkad lo gira nel 1981, occupandosi di un altro argomento arduo come quello del colonialismo italiano nell'Africa del Nord. Con Omar Mukhtar lion of the desert (Omar Mukhtar leone del deserto) Akkad porta in primo piano la figura e la storia dell'uomo che guidò la resistenza libica contro il fascismo alla fine degli anni Venti. Si tratta di un altro kolossal, perché questa è la cifra di stile del regista siriano, anche in tal caso abitato da un cast internazionale (vi si ritrovano Anthony Quinn, nel ruolo dell'eroe libico, e Irene Papas, ma pure Oliver Reed, Rod Steiger, John Gielgud, Raf Vallone, Gastone Moschin). Ma è un kolossal storico-politico che l'Italia non ha mai gradito, impedendone addirittura la circolazione (tranne una proiezione, ormai storica, al Festival Riminicinema del 1988) perché mostrava senza ipocrisie il comportamento dell'esercito italiano. Infatti, nei tratti di un film di guerra imponente per mezzi e durata (due ore e mezza), Akkad narra fatti storici, orrori e rappresaglie compiuti dal regime di Mussolini e dal suo governatore in Libia, il generale Rodolfo Graziani. Nel 1929 si scatena la repressione fascista contro i beduini, nel deserto arrivano carri armati e aerei. A opporsi c'è un popolo fiero ma senza mezzi adeguati per rispondere agli invasori, capeggiato dall'insegnante e guerrigliero Omar Mukhtar. La lotta finisce in strage, i beduini sono imprigionati e lasciati morire in campi di concentramento, Mukhar viene catturato e condannato all'impiccagione pubblica eseguita di fronte a una popolazione comunque non sottomessa. La ribellione non si placa e la folla in marcia costringe gli italiani a cominciare a ritirarsi. Portato a termine dopo diversi anni di progettazione, Omar Mukhtar è anche l'ultimo film di Mustapha Akkad. Infatti, i progetti di altri due lavori ad alto budget, The princess of Alhambra e Saladin and the crusades, non furono mai realizzati.

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