"Ogni volta che te ne vai", di Davide Cocchi

Un cinema al piatto servizio del caravanserraglio di protagonisti e personaggi di contorno quello di "Ogni volta che te ne vai" di Davide Cocchi, che usa il dialetto romagnolo, con la scusa della veracità, per inserire 'coloriture', a suffragare l'avvilente tesi d'entertainement tutta italiana che per far ridere basta il linguaggio volgare

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Dalle prime immagini, con un occhio di bue puntato sul palco e un movimento di mdp a svelare l'abito elegante del protagonista qualcuno potrebbe pensare di trovarsi davanti Tom Cruise, gran mattatore delle prediche tv in Magnolia di quel genio folgorante di Paul Thomas Anderson; invece corpo e viso sono quelli di Fabio De Luigi, protagonista del ben più modesto Ogni volta che te ne vai. Che ci riprova in questa commedia sentimentale dell'esordiente forlivese Davide Cocchi, dopo la partecipazione al debole remake di Ricomincio da capo ovvero E' già ieri di Manfredonia e il precedente flop nel gradevole Un Aldo qualunque di Dario Migliardi. Calata nel mondo delle balere di liscio (niente a che vedere col prezioso Ballando ballando di Scola), "habitat alternativo" di quel divertimentificio che sono le discoteche della Riviera Romagnola, vede il comico consacrato dalla Gialappa's nei panni di Orfeo, votato fin da piccolo ad un sogno: diventare un cantante di liscio. Vent'anni dopo lo sta realizzando con esiti modesti forse anche perché al suo fianco non c'è il suo primo e unico amore d'infanzia, l'irrequieta Pamela (Cecilia Dazzi), che dovrebbe essere la sua partner artistica… e che puntualmente ripiomba a sconvolgergli la vita. Non bisogna lasciarsi impressionare dal fatto che Cocchi, in apertura, stampigli sullo schermo nero questo verso di Shakespeare "…mai è stato liscio il corso del vero amore": è un monito alla vicenda che seguirà da prendere alla leggera, così come innocue sono le citazione ai musical di Busby Berkeley coi plongée sui ballerini. E il problema finisce per diventare proprio questo: il suo è (per ora) un cinema al piatto servizio del caravanserraglio di protagonisti e e personaggi di contorno, come il barbiere zio Sorriso (un Franco Mescolini astratto, macchiettistico fin dal "non-nome" come ne Il Mostro di Benigni o la Zucchero della Monroe-oggetto wilderiano), senza i guizzi al quale ci ha abituato Virzì e la sua pittoresca (direbbe con la "e" aperta Lisa Simpson) Toscana. La Romagna di Cocchi usa il dialetto locale, con la scusa della veracità, per inserire "coloriture" a suffragare l'avvilente tesi d'entertainement tutta italiana che per far ridere basta il linguaggio volgare. Le musiche del "novello Rota" Andrea Guerra sono stranamente poco incisive, la Dazzi e De Luigi nel solito ruolo del bravo ragazzo sempliciotto, un po' lunare (e lunatico) sono bidimensionali, senz'anima, mentre Ravello si dimostra ancora una volta schizoide caratterista di classe. Ma la vera pecca di fondo è che, sul binario del déjà vu, si sorride appena, non si ride. Peccato imperdonabile per una commedia.

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Regia: Davide Cocchi


Soggetto: Antonio Piazza, Fabio Grassadonia


Sceneggiatura: Davide Cocchi, Antonio Piazza, Fabio Grassadonia, Fabio de Luigi Fotografia: Patrizio Patrizi


Montaggio: Paolo Marzoni


Musiche: Andrea Guerra


Scenografia: Eugenia Di Napoli


Costumi: Roberta Pontiggia


Interpreti: Fabio de Luigi (Orfeo), Cecilia Dazzi(Pamela), Rolando Ravello(Scintilla), Giorgio Colangelo (Padre di Orfeo), Franco Mescolini(Zio Sorriso), Bruno Corazzari (Galvan), Giampiero Bartolini (Ivan) e Raoul Casadei (sé stesso)


Produzione e Distribuzione: Fandango (in collaborazione con Medusa)


Durata: 95'


Origine: Italia, 2004


 


 

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