"Open Hearts" di Susanne Bier

La vera forza del film della Bier risiede proprio nell'aver adottato uno stile sobrio e semi-documentaristico, "dogmatico" insomma, per cui anche l'apertura melodrammatica più improbabile riesce a diventare plausibile e la pellicola, nonostante venature dark, risulta sostanzialmente umana

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Una coppia di giovani si ama e decide di sposarsi. Il giorno dopo il ragazzo, davanti agli occhi della sua futura sposa Cecilie, viene investito da una macchina e rimane tetraplegico. La donna che ha investito Joachim è la moglie del primario che nei mesi successivi cercherà di curare più che la colonna vertebrale danneggiata del giovane la disperazione e l'incredulità per l'accaduto di Cecilia. Ad aprire la pellicola l'inquadratura dell'ormai celeberrimo manifesto Dogma stipulato nel 1995 a cui la regista Susanne Bier si attiene solo in parte trasgredendo alcune regole fondamentali (come mostrare del sangue o non girare alcuna scena in presa diretta) segno che anche i più rigidi principi dogmatici che, forti della propria definizione, dovrebbero essere irremovibili durante la lavorazione si adattano alle esigenze estemporanee del set ribadendo il primato dell'attività pratica sulla teoria dei manifesti. Sicuramente in Open Hearts una prerogativa del Dogma si adatta perfettamente alla storia ed alla sua resa scenica: l'elevatissimo grado di verosimiglianza dato dall'utilizzo di una macchina a mano e dal girare gli interni in vere case abitate da persone comuni rendendo credibili gli eccessivi avvenimenti filmati che, altrimenti, rischierebbero di sfociare in continuazione in estremi patetici ed eccessivi.

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Invece la vera forza del film della Bier risiede proprio nell'aver adottato uno stile sobrio e semi-documentaristico, "dogmatico" insomma, per cui anche l'apertura melodrammatica più improbabile riesce a diventare plausibile e la pellicola, nonostante venature dark, risulta sostanzialmente umana riflettendo le responsabilità di ciascuno rispetto alla famiglia ed ai propri sentimenti insieme all'obbligo morale di non abbandonare chi soffre. Gli attori, come ormai la cinematografia nordeuropea ci ha felicemente abituato, sono carismatici ed espressivi soprattutto nei silenzi e quando dialogano tra loro attraverso gli sguardi e le sottili inflessioni della voce. Inserti girati in Super8 per mostrare i desideri dei personaggi e quello che avrebbero voluto accadesse tra loro, mentre la parentesi iniziale e finale che racchiude la storia è affidata a sperimentali piani-sequenza girati con filtri da videoclip.


 


Titolo originale: Elsker dig for evigt
Regia: Susanne Bier
Sceneggiatura: Susanne Bier, Anders Thomas Jensen
Fotografia: Morten Soborg
Montaggio: Pernille Bech Christensen, Thomas Krag
Musiche: Jepser Winge Leisner
Scenografia: William Knuttel
Costumi: Stine Gudmundsen-Holmgreen
Interpreti: Sonja Richter (Cecilie), Nikolaj Lie Kaas (Joachim), Mads Mikkelsen (Niels), Paprika Steen (Marie), Stine Bjerregaad (Stine),m Birthe Neumann (Hanne), Niels Olsen (Finn), Ulf Pilgaard (Thomsen)
Produzione: Jonas Frederiksen, Vibeke Windelov per Det Danske Filminstitut/Zentropa Entertainments
Distribuzione: Mikado
Durata: 114'
Origine: Danimarca, 2002

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