Panama Papers, di Steven Soderbergh

Dal libro Secrecy World del giornalista Jake Bernstein, un caos organizzato in cui forma e contenuto convergono magnificamente. Seconda collaborazione del regista con Netflix

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Se Slavoj Zižek fosse un regista americano probabilmente farebbe un film come Panama Papers, ultima operazione firmata da Steven Soderbergh e seconda collaborazione dello stesso con Netflix, dopo il notevole High Flying Bird.

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Argomento: lo scandalo dei Panama Papers, il fascicolo contenente informazioni dettagliate su società offshore e paradisi fiscali hackerato e reso pubblico nel 2016. Svolgimento: cinque capitoli, o meglio ancora “segreti” da rivelare al pubblico su come funziona il Sistema americano dell’elusione fiscale.

In un tono strettamente confidenziale e con personaggi che si alternano sul palcoscenico di una commedia amarissima sui nostri tempi, scopriamo così che “i Miti sono fregati”, “i gusci sono vuoti” e così via, fino ad arrivare ovviamente al “grande colpo” finale, dove la finzione del set e dei green screen viene svelata e Meryl Streep, togliendosi trucco e parrucco, può finalmente essere Meryl Streep, alzare il braccio brandendo un pettine e rinvigorire la sua posizione liberal (perverso gioco sull’immaginario tipicamente soderberghiano!) declamando di cambiare le ambigue leggi fiscali degli Stati Uniti che privilegiano i miliardari e truffano i risparmiatori.

Del resto l’intrico narrativo di Panama Papers, orchestrato dal fedele Scott Z. Burns (The Informant!, Contagion, Effetti collaterali) e tratto dal libro Secrecy World del giornalista Jake Bernstein – parte proprio da un’ingiustizia. Un tragico incidente su un battello uccide dei turisti, tra cui il marito di Ellen Martin (Streep), che riceve un rimborso esiguo dalla compagnia assicurativa e così si incaponisce, smuove le acque e dà il via alle indagini su uno studio legale di Panama City. Il controcampo a questa vicenda “umana” è quello degli uffici in cui si falsificano firme, si creano fondi fasulli e si improvvisano metafore sull’economia e sulla storia del denaro dalla preistoria a oggi, raccontate direttamente al pubblico proprio dai “cattivi” della vicenda, ovvero i soci Mossack (Oldman) e Fonseca (Banderas), prima arrestati e poi rilasciati dopo soli tre mesi di carcere.

Meta-cinema di denuncia, sulla falsariga dell’Adam McKay de La grande scommessa. L’illegalità si confonde con la regola e la morale diventa farsa. Il ritmo è vorticoso, fatto di dialoghi, di nomi, di informazioni che rincorrono i fatti e viceversa, con brusche deviazioni, digressioni, monologhi esplicativi. E dire che stavolta il grande cineasta americano abbandona la dimensione leggera in formato iPhone dei suoi precedenti lavori (appunto High Bird Flying, ma anche il claustrofobico Unsane), per tornare a un contesto più convenzionale con un ricco cast di attori che mette ironicamente in gioco il proprio status quo: Meryl Streep, Gary Oldman, Antonio Banderas, Jeffrey Wright e Sharon Stone in un cameo a Las Vegas (!).

Certo non è semplicissimo districarsi nel complesso e imprevedibile cinema-saggio made in Soderbergh, dove i personaggi entrano ed escono dal quadro e tutto pare confondersi dietro all’unico denominatore comune che è il Capitale. A tratti in questo “riciclaggio” di 96′ sembrano convivere il sarcasmo sgangherato di Richard Lester e la precisione democratica di Alan J. Pakula, due dei cineasti più amati da Soderbergh. Un’anima quasi schizofrenica che però arricchisce le sfaccettature di quello che si configura smaccatamente come autentico manifesto anti-capitalista.

È un caos organizzato in cui forma e contenuto convergono magnificamente e dove l’autore si concede due eccezionali inserti “chiusi”: l’episodio della famiglia di colore che nel lusso sfrenato di una villa con piscina scopre l’infedeltà del padre/marito con la compagna di college della figlia e decide di gestire il “fatto” come una transazione economica e quello thriller (con il formato che si trasforma improvvisamente in 2:35) ambientato in Cina, dove il finanziare interpretato da Matthias Schoenaerts viene avvelenato da una donna d’affari. Quasi due film nel film con toni e stili differenti. Tracce sparse che rimandano alla multiformità di una filmografia sempre più libera, lucida, ostentatamente attaccata al piacere del filmare e del dire.

 

Titolo originale: The Laundromat
Regia: Steven Soderbergh
Interpreti: Meryl Streep, Gary Oldman, Antonio Banderas, Jeffrey Wright, Matthias Schoenaerts, James Cromwell, Sharon Stone, Melissa Rauch, David Schwimmer
Distribuzione: Netflix
Durata: 96′
Origine: USA, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.5 (2 voti)
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