"Percorsi di pietre": incontro con Jean-Pierre e Luc Dardenne (2a parte)

Abbiamo incontrato i fratelli Dardenne. Una nuova occasione per parlare dei loro film, del loro metodo, complesso ed essenziale al tempo stesso, del loro lavoro con la macchina da presa e con gli attori. Ma anche un'occasione per lanciare uno sguardo, sorprendente, sul cinema che amano

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Molto spesso, a proposito del vostro cinema si fa il nome di Bresson. Come vi ponete in rapporto alle sue opere?

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J-P (sorride): Ma… i critici sono strani. A volte vedono cose che noi non percepiamo o non riusciamo a vedere. Non sono giudizi nostri ma di chi guarda e interpreta i nostri film. Di sicuro ammiriamo il cinema di Bresson ma non crediamo di ispirarci a lui. Noi partiamo da una prospettiva estremamente laica. Credo che se Bresson sentisse che veniamo paragonati a lui, si rivolterebbe nella tomba.


 


Lasciatevelo dire: molto spesso i grandi registi non sono anche dei grandi critici. E' chiaro che al vostro cinema manca la prospettiva religiosa, trascendente di Bresson. Ma la somiglianza sta nella comune capacità di scavare nell'animo umano attraverso l'osservazione dei corpi, il loro rapporto con gli oggetti. E' comunque un linguaggio fisico e concreto, che si apre ad una dimensione ulteriore.


J-P: Questo è vero. Il fatto è che per il nostro cinema molto spesso si parla di Bresson così, in generale. Se invece si parla di aspetti concreti, di particolari somiglianze, allora possiamo essere d'accordo.


 


E a proposito di Rossellini, altro nome che ricorre spesso quando si parla di voi?


J-P: Rossellini è davvero troppo grande. Paragonarci a lui sarebbe troppo. Rispetto al suo cinema possiamo essere solo "post", post-qualcosa ma sempre e solo post. Non postmoderni, però, il che vorrebbe dire che non abbiamo più progetti, che siamo diventati cinici. La nostra differenza fondamentale rispetto a Rossellini è che i nostri personaggi non hanno l'aiuto di Dio, non possono più parlargli, hanno la speranza ma non trovano la risposta in Dio.

Ma anche qui è comunque una questione di sguardi più che di idee e poetiche. La grandezza di Rossellini, forse, è nella sua capacità di stare sempre e comunque nell'immagine. Il suo sguardo è innocente, mai viziato dal (pre)giudizio ideologico, intellettuale.


J-P: E' vero. Tra gli italiani, comunque, amiamo molto anche Pasolini. Il personaggio di Bruno de L'Enfant s'ispira in qualche modo alla figura di Accattone.


 


In Pasolini però la componente intellettuale e ideologica è sempre presente. A volte anche troppo. Deriva dal fatto che fosse un intellettuale ormai riconosciuto.


J-P: Infatti preferisco i suoi primi film rispetto agli ultimi, in cui il discorso ideologico si fa più pressante.


 


E, tra gli italiani, chi altri avete amato?


J-P: Sicuramente Rosi, film come Salvatore Giuliano, Mani sulla città. Mi è piaciuto tantissimo quel film con Lino Ventura, Cadaveri eccellenti. Ma anche altri autori, come Ferreri, troppo provocatorio, ribelle e per questo troppo presto dimenticato. Ultimamente ho rivisto anche Zurlini, La ragazza con la valigia. E' davvero bello. Oggi apprezzo Moretti, Bellocchio. Purtroppo conosco poco dei giovani registi italiani. Chi c'è di interessante?


 


Sarebbe un discorso lungo. Diciamo che la critica privilegia alcuni. Non so, Crialese, Sorrentino, Garrone…


J-P: Ah sì, ultimamente ho visto il film di un giovane regista che mi ha colpito…Anche libero va bene.


 


Di Kim Rossi Stuart…


J-P: Sì, proprio quello.


 


Ecco, torniamo un attimo a Rossellini. Quando iniziò a girare con la Bergman, spostando lo sguardo al "mondo borghese", fu accusato di aver tradito il neorealismo. Invece continuava la sua straordinaria esplorazione del cuore umano. Voi avete mai pensato di ambientare un film in un contesto sociale diverso da quello a cui siete abituati?


J-P: Ad essere sinceri, no. Nel senso che il nostro metodo, il nostro cinema concreto fisico si adatta a quel mondo di cui parliamo. Probabilmente non andrebbe più bene se volessimo parlare, non so, del mondo borghese. Per ora siamo interessati a quel contesto sociale. Ma in futuro chissà… Magari faremo una commedia. Sono molto belle, anche se difficilissime. 

E ultimamente cosa avete visto d'interessante al cinema?


J-P: Coeurs di Resnais è decisamente elegante, anche se è un tipo di cinema molto diverso dal nostro. Poi Scorsese… non ho visto però l'originale hongkonghese.


L: A me è piaciuto molto  Le petit lieutenant di Xavier Beauvois.


 


Eastwood?


J-P: Ancora no. Ma è decisamente un grande autore. Ho amato molto Million Dollar Baby e, soprattutto, Mystic River, di cui mi era già piaciuto il romanzo da cui è tratto (di Dennis Lehane, ndr.). Mi ha convinto un po' meno Blood Work (Debito di sangue).


 


Cosa ne pensate del cinema americano contemporaneo?


L: Quale cinema americano?


 


Appunto. Secondo voi?


L: Indubbiamente ci piacciono autori come Eastwood, Scorsese… Poi i registi del passato…


 


E il western?


L: Ah… Anthony Mann…


 


Vi piace il western? John Ford ad esempio…


L: Certo…John Ford. The Searchers (Sentieri selvaggi) è straordinario. C'è quel momento in cui John Wayne solleva in braccio Natalie Wood: sembra una cosa impossibile ma è un momento di una forza immediata, naturale. E poi quel finale, con la porta aperta verso lo spazio sterminato. E John Wayne se ne va, solo come tutta l'America.


J-P: Non credo però, come qualcuno sostiene, che il cinema di Ford sia un cinema della frontiera…


 


Bè, credo che la storia del western sia interamente percorsa dalla tensione tra l'individualismo (anarchico) e l'ideale di grande stato democratico, le due facce degli Stati Uniti. In John Ford c'è ancora, in qualche modo, la composizione di questa tensione, che poi esploderà in Peckinpah.


L: E' vero. Ma già in Mann…quei personaggi dilaniati dai conflitti interiori. E quel senso del passato che ritorna a sconvolgere.


 


Torniamo a voi. State preparando qualcosa?


J-P: Sì, adesso siamo in fase di sceneggiatura… ma è un segreto.


 


Nessuna anticipazione, naturalmente…


J-P: Fare un film è come essere innamorati. Se un ragazzo parlasse troppo della sua ragazza con gli amici, probabilmente scoprirebbe di non amarla più. Più parli di una cosa, più i sentimenti si disperdono.

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