Pesaro 50 + 1 – Diario della giornata (3)

Terza giornata di riflessione sul cinema in Italia, parlano gli addetti ai lavori. Il cinema cileno con le sue tensioni familiari e Paul Vecchiali con Dostoevskij tengono banco con le loro storie.

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Si parla di soldi (che non ci sono), di idee in cantiere e realizzate, di esordi come regista in età matura, di un cinema che rischia di sparire, di trafile produttive inefficaci, di ritardi o rinunce, di occasioni di visione che mancano e tutto quanto il resto a questo sistema che si inceppa e produce con difficoltà. Si parla di tutto questo e molto altro, per quasi quattro ore serrate nella terza giornata di incontri, oggi dedicata al cinema italiano e ai suoi autori, produttori e scrittori. Vi erano molti di loro, i cui film sono qui a Pesaro, questo il nutrito parterre: Gianluca Arcopinto (produttore di varie opere prime in programma a Pesaro), Francesco Bruni (Scialla!), Matteo Botrugno e Daniele Coluccini con Simone Isola (rispettivamente registi e produttore di Et in terra pax), Leonardo Di Costanzo (L’intervallo), Fabio Grassadonia (co-autore di Salvo insieme ad Antonio Piazza), Claudio Romano (Ananke) e Alessandro Scippa (Arianna). Un confronto sempre utile, anzi necessario, sicuramente demoralizzante per persone dal carattere debole, ma stimolante se guardato da altra ottica, quella della ferrea volontà di realizzare un film che diventa una delle imprese più difficili in cui ci si possa imbarcare oggi in Italia. Ma nonostante questo ci pare di capire che c’è qualcuno che tiene duro (non si sa fino a quando) e porta la barca al sicuro. Anche in questo caso non è questa l’occasione per attendersi delle conclusioni, qualche speranza e molte buone intenzioni, ma non è poco.
Due film nel panorama del cinema in sala nel Concorso La madre del cordero della coppia di registi cileni Enrique Farias e Rosario Espinosa e per la piccola Sezione Because the night il ritorno di Paul Vecchiali che offre al pubblico della piazza Nuits blanches sur la jetée ispirato al lungo racconto di Fëdor Dostoevskij.
Qualche anno addietro Pesaro ha dedicato la sua attenzione alla

La madre del cordero

La madre del cordero

cinematografia cilena, dando convegno agli autori di quel cinema che in gran parte sono registi intorno ai quarant’anni e quindi di generazione artisticamente successiva a quella che si è formata direttamente sotto la dittatura militare. Il cinema di questi registi non risentiva quindi di quelle sollecitazioni e allontanandosi da ogni implicazione più direttamente politica o, se si preferisce, di naturaa sociale, rivolgeva il proprio sguardo alle dinamiche familiari, ai drammi e alle tensioni che si manifestano nel clima domestico. Unica eccezione a questo sguardo molto centrato sui temi dei rapporti familiari sono Pablo Larrain erede di un cinema di forte impianto politico e Patricio Guzman (ma nato nel 1941), recente ospite al Biografilm festival di Bologna, elegante regista di un cinema sempre evocativo che mette in relazione i temi del presente con la memoria che trova dispersa e depositata negli stessi luoghi dove si è fatta – quella che lui afferma essere – la breve storia del Cile, per un’indagine del tutto originale sulla condizione cilena.
Appartengono alla prima schiera di registi, per età (sono appena ventiquatrenni) e per formazione, Roberto Espinosa e Enrique Farias registi di La madre del cordero. La storia della non più giovane Cristina (l’agnello) da sempre dedicata alla madre che potrebbe cambiare la sua vita di volontaria semi clausura grazie ad una vecchia compagna di scuola che torna in paese e che ha il coraggio di affrontare i giudizi negativi sui suoi comportamenti. I legami familiari di sotterranea sottomissione sono resi evidenti in questo film tutto racchiuso nella solitudine della sua protagonista. La vicenda personale e tutto sommato minuscola di questa donna indifesa, vittima di una madre oppressiva ed egoista, assurge a qualcosa di più e di diverso rispetto al dramma familiare che mette in scena. Si ha la sensazione che i due giovani registi abbiano l’ambizione di mirare più in alto, pur guardando da molto in basso e che il loro sia un film intimista, ma con l’obiettivo più largo di mettere in discussione un impianto sociale più complessivo. In ogni caso la semplicità narrativa ha ancora una volta premiato l’esito per un film la cui sincerità è evidente come l’evoluzione del personaggio principale, le cui timide rivendicazioni diventano risolute decisioni estreme e irrevocabili.

Nuits blanches sur la jetèe

Nuits blanches sur la jetèe

Di altra natura il ritorno dell’ottantacinquenne Paul Vecchiali. Il suo esplicito omaggio ad un cinema del passato è messo per iscritto alla fine del film e richiama il ricordo di Visconti, di Bresson, di Ophüls e di Maria Schell protagonista del film di Visconti, che in vario modo hanno trasposto al cinema il lungo racconto Le notti bianche dello scrittore russo. Vecchiali non tradisce l’impianto narrativo e opera solo alcune modifiche trasportando la vicenda sul molo del porto di Saint Maxime sulla costa della Provenza. Vecchiali costruisce, come nella struttura del breve romanzo e come già avevano fatto i grandi autori citati, un film da camera la cui forza sta nei dialoghi d’amore, nella scoperta che i due personaggi compiono in questo rito di conoscenza e di corteggiamento dopo le iniziali diffidenze. Un cinema, nonostante l’apparente verbosità, silenzioso e intimista, racchiuso nella fragile consistenza delle sensazioni dell’amore, più che nell’amore stesso, piuttosto desiderato e immaginato che praticato. Un esperimento riuscito che forse nel caso specifico avrebbe meritato una visione in sala, piuttosto che quella in piazza, sempre evocativa, ma per molte ragioni non adatta a questo film. Trascurando quelle legate alla necessaria attenzione alla vicenda, priva di reali sviluppi narrativi che con la visione in piazza viene penalizzata, si vuole osservare, ad esempio, come tutto il lavoro sulla fotografia notturna, in una proiezione “luminosa” come quella all’aperto, purtroppo sia andato irrimediabilmente perduto. Un peccato forse veniale, al quale però si poteva porre rimedio.

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