Si rinnova anche quest’anno l’appuntamento romagnolo dedicato al cinema horror: quinto anno per una manifestazione che si è rivelata importante e capace di riflettere il genere in tutte le sue derive, di dare visibilità ad autori di culto, senza temere di mescolare arte e pratiche “basse”. Un festival con il sorriso (o meglio il ghigno) sulle labbra, insomma, il cui primario scopo sembra essere stato finora proprio quello di esplorare con curiosità ed eclettismo, che è senz’altro il modo migliore per dare forza a un programma.

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Analizzando le proposte di questa nuova edizione infatti emerge immediatamente, accanto al consueto concorso dedicato ai lungometraggi e ai corti, il percorso che i vari eventi speciali hanno messo insieme, dedicato al rapporto tra il cinema fantastico e il linguaggio del documentario. Cercare il fantastico tra le pieghe della realtà, dunque, attraverso una messinscena che si richiama al realismo e all’oggettività di quanto messo in campo per aprirsi a derive liriche e a strutture narrative che tracimano lentamente nel genere.

The Sleep of Reason è il primo di questi appuntamenti, dedicato all’indagine giornalistica sulla morte di uno psichiatra specializzato in ipnosi regressiva, che mescola dunque la struttura del documentario con quella del thriller a episodi. D’altra parte l’immaginario che in questo inizio millennio si va forgiando è proprio quello della tv verité, del reportage, e quindi è coerente in tal senso riproporre anche l’ottimo REC di Jaume Balaguerò e Paco Plaza, già visto in anteprima alla Mostra di Venezia e qui sponsorizzato da Mediafilm che attende (speriamo non per molto) di distribuirlo ufficialmente in sala. Con la sua struttura da mockumentary, REC è in fondo l’ultima deriva possibile per far conoscere il mito del morto vivente (o dell’infetto se preferite) alle nuove generazioni per le quali l’unico sguardo possibile sulla realtà è quello mediato da una telecamera a spalla, pronta a inseguire non soltanto l’evolversi degli eventi, ma a raccontare anche le tensioni interne a un gruppo di persone eterogenee che litigano, scalpitano e cercano di comprendere come uscire dalla situazione in cui sono finite: la speranza di un gesto improvviso, di un particolare da afferrare, di una storia da narrare sono in fondo insite nei presupposti stessi del reportage da cui queste opere comunque muovono.

Terzo ma non meno importante evento è ancora una volta un documentario, The Diabolikal Super Kriminal, incentrato sulla storia del fotoromanzo “sexy-noir-splatter più censurato al mondo”: “Killing”: ancora un reportage, quindi, un tentativo di interpretare fenomeni che si espandono tra le pieghe della realtà, ma anche un modo per restituire visibilità a un pezzo di storia del costume sepolto nella memoria. Alla luce di queste considerazioni appare in fondo sensato anche lo spostamento di data che il festival ha subito e che quest’anno colloca le cinque giornate di proiezioni a cavallo fra ottobre e novembre, centrando quella festa di Halloween che in sé riassume perfettamente il sapore mitico dei tempi passati e le nuove derive dello spettacolo, sempre in cerca di occasioni di divertimento e sensazionalismo. Come dire: tradizione e modernità, reale e sua rappresentazione che sfocia nel fantastico.