Rendez-vous 2018 – Incontro con Valeria Bruni Tedeschi

L’attrice e regista, il cui cuore si muove tra la Francia e l’Italia, dice di non sentire molta empatia per la versione italiana del #Metoo e dichiara il suo amore incondizionato per Woody Allen

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“Valeria contro Valeria”. Alla Casa del Cinema – per il Festival di Nuovo Cinema Francese – la Masterclass con Valeria Bruni Tedeschi si svolge come se fosse un frammento del classico di Joseph L. Mankiewicz. C’è nell’aria una certa idea di scontro, tra cinema e teatro, tra regia e recitazione, tra esperienza e gioventù, ma soprattutto tra due versioni della stessa attrice. L’incontro rivela tutto su una donna che si espone davanti alla folla con inquietante tranquillità e si lascia trasportare dalla corrente, o meglio ancora, dalla sua propria corrente. Senza mai perdere la modalità soft e quel tono di voce basso e felpato – come di una donzella in costante difficoltà – Valeria non ha paura di essere politicamente scorretta, di non aderire alla versione italiana del #Metoo e neanche di dichiarare il suo amore incondizionato per Woody Allen: “Lui è come una medicina per me, i suoi film mi sembrano la più grande consolazione per la difficoltà dell’esistenza. Con tutto quello che è successo, penso che arriverà il mio momento, perché adesso nessuno vuole lavorare con lui”, dice senza ombra di dubbio. E convince anche noi.

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La prima domanda – “cinematograficamente, ti senti più italiana o più francese?” – prova a metterla subito in una categoria. Ma non sarà così facile. Valeria si perde un attimo nei suoi pensieri prima di rispondere, facendo intravedere un certo smarrimento; ormai, la sala è affollata d’italiani entusiasti che la considerano una delle loro più grandi attrici. “Guarda, per me non è chiaro… sto pensando eh? Non lo so… diciamo che mi sento italiana perché qui ho trascorso la mia infanzia, e penso che sia un periodo molto costitutivo di una persona. È la mia lingua materna, qui ho tutti i miei ricordi d’infanzia, anche tutti i non-ricordi, quello che ho dimenticato… poi sono arrivata in Francia, dove ho cominciato la mia vita adulta. Quando lavoro in italiano le emozioni non escono allo stesso modo di quando lavoro in francese, il corpo non si muove nello stesso modo. Lavoro con l’italiano e il francese sempre cercando di trovare la mia vera identità”.
Ma sogni in italiano o francese? Insiste il moderatore. A quanto pare, con Valeria non ci sono risposte definitive: “Se sono con persone francesi, sogno in francese. Quando sono in Italia, in italiano. Dipende dal pensiero, i francesi sono molto diversi… forse è un problema che la mia psicoanalista sia francese! A un certo punto ho pensato di venire qui una volta alla settimana, da Parigi, per fare psicoanalisi in italiano”.

Quando viene a galla il suo discorso di accettazione al David di Donatello 2017 – per la vittoria del premio alla miglior attrice per La pazza gioia – ,che velocemente diventò virale, l’attrice risponde in modo più categorico: “Io non sono per niente social. Questa non è la mia epoca”. Detto questo e all’improvviso, l’incontro diventa all about Anna: “Nel discorso ho citato Anna Magnani perché lei è un’attrice, un viso, degli occhi, uno sguardo. Una di quelle persone che mi danno voglia di lavorare, di vivere… quando guardo una fotografia di Anna Magnani mi viene voglia di essere me stessa, oppure di tornare a essere me stessa, perché continuamente mi allontano… lei, la Magnani, mi fa tornare a me”.

Ma Valeria è ancora qui, in carne e ossa. Più che allontanarsi, continua a ripiegarsi e approfondire sulla dinamica tra due versioni di se stessa: la regista e l’attrice. “Quando sono regista mi occupo pochissimo del mio lavoro di attrice perché non ho tempo da prepararmi, devo occuparmi degli altri. Come un genitore che non ha tempo di vestirsi né truccarsi, perché si deve occupare dei propri figli. Il mestiere di regista mi fa pensare al lavoro dei genitori, mentre far l’attore è un poco come essere bambino, puoi giocare di più. Spesso nei miei film non sono soddisfatta con la mia recitazione, non faccio molto caso alla mia bambina interiore”. Come se fosse Bette Davis parlando con la sua Eva nel camerino, Valeria condivide un momento intimo: “Dopo aver girato il mio primo film, È più facile per un cammello, ho fatto un piccolo rituale. Mi sono messa davanti allo specchio e ho parlato gentilmente con me stessa. Mi sono detta: scusa, non mi sono abbastanza occupata di lei, nel futuro farò molta più attenzione, la trovo molto brava e sono molto contenta del suo lavoro. Non glielo dico abbastanza ma lei è veramente bella…”

Care figlie, vi scrivo, è il nome del libro dell’attrice e pianista italiana Marisa Borini,

dedicato alle sue celebri figlie Valeria e Carla Bruni. Quando le viene chiesto se la madre è stata un’influenza importante nella sua vita, l’attrice sceglie di rimanere nel pubblico: “Mi piace filmarla, come attrice la trovo stupenda, bravissima, incredibilmente precisa nelle sue intenzioni. Poi bella, fotogenica. Tanto che mi viene voglia di scrivere un altro film per poter filmarla. Mi piace anche molto il rapporto che abbiamo quando lavoriamo, devo dire che è molto migliore che nella vita reale. Quando lavoriamo, diciamo che si lascia fare… è molto interessante. Nel mio ultimo film c’è anche mia zia! Voleva fare l’attrice però il marito non ha mai voluto, e in effetti anche lei è un’attrice incredibile, ha 94 anni è questo è il suo primo film”. “A questo punto, soltanto ti manca di lavorare con tua sorella Carla”, le chiede qualcuno. Lei non vuole, glielo propongo regolarmente ma non vuole, non se la sente. Lei ha già lavorato con Woody Allen, quindi…”

“Essere disturbata è molto importante“, prosegue Valeria, con calma, senza perdere mai l’atteggiamento etereo. Mi sembra di lavorare meglio quando mi sento un po’ disturbata, non quando disturbo gli altri, ma me stessa. Poi, sono piena di nostalgia: quando sono in Italia, della Francia, quando sono in Francia, dell’Italia. Penso che tutto questo disturbo interiore sia una ricchezza“. Adesso, si parla di un disturbo collettivo che, appunto, alza le sue prime voce dissonanti in Francia e poi arriva in Italia. Ecco, si parla del #Metoo. E Valeria, attrice, regista, donna e galleggiante tra i due paesi, ha qualcosa da dire: “Io non sono tanto corretta, infatti non mi sono espressa fino ad adesso. Penso che tutto quello che è successo sia una cosa meravigliosa perché è un vento di libertà per le donne, in tutti i mestieri, un momento storico. Allora, personalmente, per quanto riguarda il movimento del cinema e delle attrici, non lo so… non ho mai vissuto una cosa del genere, non mi sono mai sentita obbligata. Sempre ho potuto dire di no, forse perché avevo i mezzi per farlo, ma sempre ho potuto scegliere molto tranquillamente se salire alla suite del Ritz, oppure no. Nessuno mi ha mai obbligato. Perciò, non riesco a sentirmi molto in empatia con il movimento delle attrici, ma certamente lo sono con il movimento delle donne in generale… mi dispiace dire queste cose, perché non mi sembra che siano interessanti…” Ma dopo l’ovazione e gli applausi successivi, a quanto pare il pubblico non la pensa così.

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