RIOTSVILLE, U.S.A., di Sierra Pettengill

Scompone e ricompone, attraverso filmati e registrazioni d’epoca, lo scontro sociale per i diritti civili in America all’alba del 1968. Un progetto dal respiro ampio. Dall’UnArchive Fest di Roma

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“Our nations is moving towards two societies – one black one white – separate and unequal.”

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All’alba del 1968, gli Stati Uniti vivono un momento di altissima tensione sociale. La sommossa di Detroit e la rivolta di Newark si dimostrano i definitivi segnali di una voragine che divide completamente la società americana da quella afroamericana. Il presidente Johnson istituisce una organo consultivo (la commisione Kerner) per esaminare le cause sociali e culturali, innate all’interno della società americana, che hanno riportato negli USA fenomeni di rivolta di tale portata. I risultati a cui arrivano i membri della commissione Kerner, ripresi successivamente da politici e intellettuali dell’epoca, possono essere facilmente sintetizzati nel virgolettato di apertura. L’analisi, però, viene presto cestinata dalla stessa presidenza Johnson, che opta per la costruzione di città modello, chiamate Riotsville, in scala 1:1 dedicate all’esercitazione delle forze di polizia per eventuali guerriglie urbane.

Il documentario di Sierra Pettengill, vincitore allo scorso Torino Film Festival per il miglior documentario internazionale in competizione, scompone e ricompone, attraverso un ritmo narrativo incalzante, questa ossessione compulsiva degli Stati Uniti d’America nei confronti dell’ordine sociale precostituito. Il mantenimento dello status quo è la prerogativa del sistema istituzionale americano con cui si scontrano i movimenti per la tutela dei diritti civili durante la seconda metà degli anni ’60. Non esistono studi o analisi sociologiche che tengano. Forse, proprio per questo, RIOTSVILLE, U.S.A. si serve della forma per riflettere sul senso delle immagini che ci troviamo davanti.

“Ci interessano i materiali per quello che nascondono, per quello che non si vede.

Così parlava a proposito dei materiali d’archivio Yervant Gianikian, in un nostro recente incontro. E questa sua riflessione non può che ritornarci in mente durante la visione del documentario della Pettengill, opera figlia di cinque lunghi anni di ricerca e selezione certosina in un oceano formato di materiali d’archivio audiovisivi di ogni genere.

La regista riporta in vita i pezzi del puzzle meno conosciuti di quegli anni. In primis, le interviste e i dibattiti tra esponenti della polizia e membri di movimenti per i diritti civili registrate dalla PBL (Public Broadcasting Laboratory) antenata della futura PBS, la cosiddetta televisione pubblica, virtuoso tentativo di fornire allo spettatore uno strumento di riflessione sullo scontro sociale in atto, attraverso un dialogo trasversale da parte di tutti gli attori in causa. Dall’altra parte, irrompono sullo schermo le immagini delle esercitazioni dimostrative della polizia all’interno dei Riotsville da poco fabbricati. Le immagini di queste esercitazioni che scorrono al ritmo di un montaggio decostruito, disorientante, svelano una grottesca quanto angosciante superficialità, da parte delle istituzioni del paese, nell’affrontare un problema così profondo, così radicato all’interno della cultura americana e affrontato attraverso la costruzione scenica, quasi hollywoodiana, di scontri simulati, con tanto di pubblico sugli spalti.

In questo senso, lo sguardo di Sierra Pettengill è sicuramente orientato verso una precisa fase storica dello scorso millennio ma i piedi sono ben piantati sul terreno di scontro politico e sociale contemporaneo e sulla sua contestuale “mostrazione” quotidiana.

Il dibattito innescato dalla ripresa e dalla conseguente ricontestualizzazione del passato attraverso i materiali d’archivio è senza ombra di dubbio un elemento centrale del cinema contemporaneo che svela, ancora una volta, l’enorme potenzialità riflessiva delle immagini e della molteplicità di letture che queste possono innescare. Proprio per questo, un documentario di novanta minuti è decisamente troppo poco per raccogliere nella sua totalità un progetto dal respiro così ampio.

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