#RomaFF10 – The Whispering Star, di Sion Sono

Non è semplice abitare questo controllo delle immagini e delle forme. È strano, ma di fronte a tanto splendore stavolta il cinema sembra lasciare i sentimenti fuori dalla porta

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Sempre spiazzante Sion Sono. Capace di attraversare le mirabolanti incursioni cinefile di Why don’t you play in hell? e poi rallentare i ritmi e le immagini in un bianco e nero tarkovskiano che culla lo sguardo davanti alle rovine di un’umanità desertificata, senza suoni ed esseri viventi. Come appunto in quest’ultimo The Whispering Star, scifi movie che prende spunto una volta ancora dal disastro di Fukushima, con commossa dedica iniziale ai suoi abitanti. Nel futuro immaginato dal regista giapponese l’umanità è stata quasi completamente  soppiantata dalle macchine. Rimane attivo un servizio postale che viaggia nello spazio e passa di pianeta in pianeta per recapitare ai pochi superstiti semplici oggetti di un passato perduto: una fotografia, un bicchiere, un cappello, un frammento di pellicola. In questi viaggi lungo galassie stellate troviamo astronavi vintage dalla forma di abitazioni con dentro rubinetti e robot dalle fattezze umane. Loro registrano quotidianamente le loro giornate come se scrivessero un diario privato da lasciare ai posteri e forse sognano davvero di provare sentimenti e diventare come la razza in via d’estinzione a cui recapitano questi regali misteriosi. C’è ancora possibilità di recuperare un contatto umano oltre l’abisso dell’apocalisse? E se fossero gli stessi robot ad aiutarci a ritrovare un filo di emozione? La disperazione che permea questa poetica incursione nella fantascienza trova alla fine del tunnel la possibilità di riscattarsi nella bellezza di un ultimo avamposto di umanità, dominato da ombre che si muovono dietro un separé.

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Ancora una volta si sorvola su un paesaggio che tocca disperazione e speranza. Sion Sono guarda un po’ a Solaris e un po’ a Blade Runner, ma si preoccupa soprattutto di sospendere il tempo in frammenti che annullano la progressione per ritornare ciclicamente sugli stessi dettagli, inquadrature, spazi. Lontano da ogni inclinazione allo spettacolo. Su schermo nero i cartelli stanno a indicare lo scorrere delle giornate in una quotidianità immutabile e il mondo/set diventa materia e magia con cui reinventare la comunicazione visiva e tattile. Ma non è semplice abitare questo controllo delle immagini e delle forme. È strano, ma di fronte a tanto splendore alla lunga il cinema sembra lasciare i sentimenti fuori dalla porta e incatenarsi in una dilatazione del ritmo e in un perfezionismo formale che ruba l’occhio ma non coinvolge l’anima. È un’opera da rispettare ma meno incisiva rispetto ad altre firmate dal cineasta di Land of Hope. Suggestivo ma allo stesso lontano e ignoto come un meteorite, The Whispering Star è talmente intriso di solitudine e alienazione da seguire una rotta tutta “sua”, quasi impenetrabile. Solitaria.

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