#RomaFF13 – Sangre blanca, di Barbara Sarasola-Day

Sangre Blanca della regista argentina Barbara Sarasola-Day è una storia di droga ambientata sul confine che divide l’Argentina dalla Bolivia, un ibrido con influenze thriller di matrice sudamericana

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Non è la fiducia il primo elemento, che poi nel tempo resta una costante, l’unico tassello necessario per la nascita e la tenuta di un rapporto? E può esserci fiducia tra due estranei, se il quadro d’insieme che li unisce è il ricatto? Martina (Eva De Dominici) attraversa il confine tra Argentina e Bolivia insieme a Manuel: portano degli ovuli di cocaina. Qualcosa va storto, il ragazzo ci resta secco, con il prezioso carico di droga ancora nello stomaco. Messa all’angolo dalle minacce degli spacciatori, che aspettano senza deroghe la  consegna dell’intero carico, alla ragazza non resta che rivolgersi ad un padre, Javier, con il quale non ha avuto mai nessun contatto.

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Il passaggio alla frontiera rappresenta un passo importante, segna di solito un inizio, si trascina un auspicio nel superamento, mentre nel film della regista argentina Barbara Sarasola-Day diventa un limbo, che collega l’aspetto puramento geografico con l’identica difficoltà umana di cominciare, oltre gli obbligatori cenni d’intesa, a far crescere qualcosa laddove mai nessun seme è stato sparso e si continua a scavare invano in un terreno ormai arido per rimediare.

A livello di scrittura il racconto adotta delle soluzioni lontane dagli schemi tipici di sviluppo e cambiamento del personaggio, si assume il rischio di appiattire i dati caratteriali, come insormontabili o di convenienza, per lasciarli in balia di un puro calcolo materiale piuttosto meccanico e mentre la trama impersonale, il traffico di stupefacenti, trova un epilogo annunciato, il destino di Martina resta appeso alla stessa incertezza iniziale. Anche se le responsabilità conservano comunque una derivazione umana e il fatalismo una semplice costatazione d’impotenza di un’eterna lotta tra simili. Sangre Blanca è un film tanto insolito quanto imperfetto, anzi, per certi versi, totalmente monco, soprattutto nel recidere immediatamente gli spunti suggeriti un attimo prima, nel rendere ogni incontro estemporaneo ed avvelenato dal sospetto e nel diffondere gli indizi di un incubo dal quale i personaggi sembrano risvegliarsi per rispondere ad una telefonata sempre inopportuna.

Il film vive dalla presenza al suo interno di due corpi estranei che corrono paralleli aspettando il momento giusto per incrociarsi, cosa che non avviene per una deliberata scelta di rinunciare ad un crescendo del conflitto, incisivo e minimale, nel suo intento di creare una lucida rappresentazione di pessimismo, che dall’illusoria persecuzione di obiettivi a breve termini esce enormemente rafforzato. Ed infatti a nulla valgono i timidi tentativi della protagonista di rompere la barriera che la divide dal padre, resi appositamente in forma indiretta, a debita distanza, per lasciare esplodere dal contatto un rancore impossibile da assorbire, e trasmettere disagio.

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