#RomaFF14 – Il giorno più bello del mondo, di Alessandro Siani

Il cinema come gioco divertito, risultato di una garbata inconsistenza dove Siani ci mette tutto l’impegno possibile. La sua semplicità è disarmante. Ma troppe battute vanno a vuoto. Alice nella città

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Forse con Il giorno più bello del mondo bisogna cambiare prospettiva davanti alla comicità di Alessandro Siani. Vedere in lui l’eredità della tradizione partenopea è una visione distorta, forse anche ingenerosa. Perché comunque ciò che lega i quattro lungometraggi che Siani ha realizzato come regista, è un ottimismo di fondo. Simile per certi versi a quello di Pieraccioni. Dove ogni film, anche quello venuto peggio, resta pur sempre un gioco.

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Si è sbagliato ad aver giudicato ruffiano il suo cinema. Come è successo quando abbiamo parlato di Si accettano miracoli. Perché comunque la sua semplicità è disarmante. Si parla di principesse, miracoli, ricerca della felicità. E le luci di Michele D’Attanasio (lo stesso direttore della fotografia di Veloce come il vento, Lo chiamavano Jeeg Robot e Capri-Revolution), alla sua prima collaborazione con Siani, accentuano ancora di più il carattere fiabesco. Dove gli oggetti e i luoghi sembrano trasformarsi in qualcos’altro. Come il lussuoso hotel in cui si svolge uno dei momenti centrali del film, sembra quasi una mutazione di quello degno di una spy-story. Ma soprattutto la figura di Siani è forse l’unico vero potenziale cartoon della commedia italiana di oggi. Si potrebbe vedere anche Il giorno più bello del mondo, con gli stessi protagonisti, come se fosse un film d’animazione. Storia e personaggi semplici con cui identificarsi e un intrigo diretto.

Sono un po’ gli stessi ingredienti al centro della storia. Arturo Meraviglia è l’impresario di un piccolo teatro vicino al fallimento. Ma l’eredità di un lontano zio che non ha mai conosciuto potrebbe risolvergli i problemi. In realtà l’unica cosa che gli lascia sono i suoi due bambini, Rebecca e Gioele. Lei è molto precisa e usa termini che Arturo neanche conosce. Lui non parla mai. Ma ha un potere sorprendente: quello di muovere gli oggetti. Organizza così degli spettacoli con cui inizia a risolvere i suoi problemi ecomomici. Ma dei loschi scienziati vogliono scoprire cosa si nasconde dietro le sue doti. E a questo punto Arturo farà di tutto pur di proteggerlo con l’aiuto della scombinata banda di amici.

Un inizio quasi malinconico. Un omaggio al vecchio teatro. Con Arturo bambino che va dal padre nel camerino. E gli dice una frase che può essere anche uno slogan per il suo cinema: “Gli artigiani costruiscono la gioia pura”. Le idee ci sono. Come quello della tournée a Napoli, Roma e Milano di un suo amico comico. Ma intendeva le esibizioni sul Frecciarossa. Ed è qui che forse si iniziano a intravedere i limiti del suo cinema. L’intuizione, anche quella più riuscita, non sembra mai adeguatamente sostenuta sia visivamente sia narrativamente. Dagli oggetti che volano all’inquadratura dall’alto delle macchine che si muovono. Ogni idea, nel momento in cui prende forma, perde sempre parte del suo potenziale. E alcune battute sbagliano bersaglio. A cominciare dalla scena della favola di Biancaneve, inizialmente divertente, poi troppo lunga. O frasi tipo: “Lo stomaco si chiude, il cuore si apre”. O il gioco di parole sulla clonazione. O ancora, il test con la macchina che misura il quoziente intellettivo.

Andiamo dalle parti di una fiaba quasi vintage. Con luoghi che tornano. Come la Svizzera di Mister felicità. Ed esperimenti scientifici con un taglio quasi vanziniano alla A spasso nel tempo. Sembra quasi una specie di Castellano & Pipolo. Tipo Innamorato pazzo. Le modalità di innamoramento di Siani, in ogni suo film, somigliano a quelli di Celentano con la Muti. Siani stesso è il motore del film. Eppure ancora una volta il percorso che prendono lui e i suoi personaggi sembra ancora troppo impegnativo. È ingiusto affossare, ma anche impossibile sostenere Il giorno più bello della mia vita. C’è una garbata inconsistenza. Che nel tempo di una battuta contagia. Come il bacio finalmente strappato. E poi: “Forza Napoli”. Sì, quello viene davvero dal cuore.

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