ROTTERDAM 33 – Sii la pioggia: Salva il Pianeta verde

"Greendale" di Neil Young e "Save the green planet" del sudcoreano Jang Jun-Hwan pur seguendo strade molto distanti si ritrovano entrambi alla ricerca del "verde", urlanti un'imminente catastrofe socio-ecologica. Dai nostri inviati al primo importante Festival Internazionale della stagione.

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Da sempre porta europea (e della "stagione") del cinema "off" (soprattutto dai canali di distribuzione) e punto di riferimento per i film-makers quanto per gli appassionati di un cinema che supera o tradisce del tutto il bignami transnazionale del linguaggio cinematografico griffithiano (da qui sono passati quasi tutti i ByBrakhage, Julio Bressane e' in giuria e Tonino De Bernardi una star…), il Festival di Rotterdam, contenitore di oltre 400 film, riunisce i maggiori successi festivalieri (e non) dell'anno passato. In tanta abbondanza (da Il Ritorno, trionfante a Venezia, a Elephant di Van Sant, Lost in translation e…Meglio Gioventu, Caterina va in citta…) ritroviamo Greendale di Bernard Shakey (meglio conosciuto come Neil Young), che, presentato a Toronto, era passato anche per Torino.

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Il vecchio Neil (senza virgolette e senza ironia) con la solita grinta e schiettezza che lo caratterizza negli ultimi anni (su cui ha influito l'incontro con i Pearl Jam in Mirror Ball), ha sentito il bisogno di completare il suo ultimo disco con questa sorta di ibrido tra musical e videoclip in cui le immagini e la musica si scambiano vicendevolmente il compito di ridondare.


Diviso in capitoli corrispondenti alle tracce del cd, Greendale porta il nome di una cittadina di provincia che e' punto di osservazione e contenitore dell'America di Bush, sospesa tra il terrore mediatico planetario e la catastrofe socio-ecologica interna. Neil Young ci guida attraverso i volti dei suoi familiari, che mimano i versi delle canzoni, e il paesaggio "country" alla fonte d'ispirazione del suo ultimo lavoro, animato da un umanesimo intriso di nostalgia per la summer of love '67, che prende forma in 80' di classic rock anni '70. Decennio che ritorna nella scelta del formato super8 e in quel dondolio da road-movie che, passando attraverso televisori "da infarto" (il "nonno" muore d'infarto davanti alle telecamere di un reality-show) e proteste spettacolari, ci porta in quell'Alaska che e' ad un passo dal divenire un paradise lost. Sulla sincerità di Neil non ci sono dubbi, traspare tutta nella luce tremolante della pellicola "sporca" (sgranata) come il suo rock, la sua voglia di combattere ancora merita ammirazione, ma musica e film si sottolineano a vicenda, non aggiungendo nulla se non la necessità dell'autore di (di)mostrare che il messaggio e' vero e che l'imminenza del pericolo lo ha spinto ad urlare in più forme. Ma durante e dopo la visione non si puo che pensare al canadese come a un nonno che ci viene a raccontare dei suoi tempi, dello schifo in cui viviamo e che dobbiamo "essere la pioggia" per "salvare il mondo per un altro giorno". Piacevole come sempre, ma comunque "vecchio" Neil.


 

Da sempre porta europea (e della "stagione") del cinema "off" (soprattutto dai canali di distribuzione) e punto di riferimento per i film-makers quanto per gli appassionati di un cinema che supera o tradisce del tutto il bignami transnazionale del linguaggio cinematografico griffithiano (da qui sono passati quasi tutti i ByBrakhage, Julio Bressane e' in giuria e Tonino De Bernardi una star…), il Festival di Rotterdam, contenitore di oltre 400 film, riunisce i maggiori successi festivalieri (e non) dell'anno passato. In tanta abbondanza (da Il Ritorno, trionfante a Venezia, a Elephant di Van Sant, Lost in translation e…Meglio Gioventu, Caterina va in citta…) ritroviamo Greendale di Bernard Shakey (meglio conosciuto come Neil Young), che, presentato a Toronto, era passato anche per Torino.


Il vecchio Neil (senza virgolette e senza ironia) con la solita grinta e schiettezza che lo caratterizza negli ultimi anni (su cui ha influito l'incontro con i Pearl Jam in Mirror Ball), ha sentito il bisogno di completare il suo ultimo disco con questa sorta di ibrido tra musical e videoclip in cui le immagini e la musica si scambiano vicendevolmente il compito di ridondare.


Diviso in capitoli corrispondenti alle tracce del cd, Greendale porta il nome di una cittadina di provincia che e' punto di osservazione e contenitore dell'America di Bush, sospesa tra il terrore mediatico planetario e la catastrofe socio-ecologica interna. Neil Young ci guida attraverso i volti dei suoi familiari, che mimano i versi delle canzoni, e il paesaggio "country" alla fonte d'ispirazione del suo ultimo lavoro, animato da un umanesimo intriso di nostalgia per la summer of love '67, che prende forma in 80' di classic rock anni '70. Decennio che ritorna nella scelta del formato super8 e in quel dondolio da road-movie che, passando attraverso televisori "da infarto" (il "nonno" muore d'infarto davanti alle telecamere di un reality-show) e proteste spettacolari, ci porta in quell'Alaska che e' ad un passo dal divenire un paradise lost. Sulla sincerità di Neil non ci sono dubbi, traspare tutta nella luce tremolante della pellicola "sporca" (sgranata) come il suo rock, la sua voglia di combattere ancora merita ammirazione, ma musica e film si sottolineano a vicenda, non aggiungendo nulla se non la necessità dell'autore di (di)mostrare che il messaggio e' vero e che l'imminenza del pericolo lo ha spinto ad urlare in più forme. Ma durante e dopo la visione non si puo che pensare al canadese come a un nonno che ci viene a raccontare dei suoi tempi, dello schifo in cui viviamo e che dobbiamo "essere la pioggia" per "salvare il mondo per un altro giorno". Piacevole come sempre, ma comunque "vecchio" Neil.


 

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