Sfida infernale, di John Ford

La storia del duello all’O.K. Corral si trasforma nella leggenda di uomini comuni che sentono gravare sulle proprie vite la responsabilità di una scelta. Oggi, ore 17.35, Rai Movie

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Tra l’est e l’ovest. Al confine di epico e romanzesco. Wyatt Earp/Henry Fonda continua a dondolarsi sulla sedia oscillando tra la speranza di restare e il desiderio di ritornare. Da un lato un fratello ucciso, dall’altro lo stato nascente di un sentimento amoroso per la Darling Clementine (Cathy Down). Sono passati sette anni da Ombre rosse (1939) e John Ford inserisce nel genere western diversi motivi di riflessione: la storia del duello all’O.K. Corral si trasforma nella leggenda di uomini comuni che sentono gravare sulle proprie vite la responsabilità di una scelta. Se da una parte il processo di civilizzazione investe l’ovest come una tempesta inesorabile, dall’altra questa trasformazione porta in sé il seme di una morte incombente. Il senso di questa tragedia è racchiuso in uno dei personaggi più potenti di tutto il cinema di John Ford, quel Doc Holliday/Victor Mature che ha la statura tragica del principe Amleto e che diventa nel tempo figura germinale per tutti i losers che popoleranno i western crepuscolari di Sam Peckinpah (La ballata di Cable Hogue, Pat Garrett e Billy The Kid), John Huston (Gli spostati, L’uomo dai 7 capestri) e Don Siegel (Il pistolero).

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La storia di Sfida infernale non è semplicemente quella di un uomo che vuole vendicarsi dell’assassinio del fratello James assumendo il ruolo di sceriffo nella cittadina di Tombstone (nomen-omen), ma è soprattutto il confronto tra due visioni opposte della vita legate dal sentimento verso una medesima donna. Tutto il cinema di John Ford vive di questi dualismi drammatici che riflettono la antinomia tra la libertà di sfondi infiniti e la claustrofobia di recinti che imprigionano le esistenze. Allo splendore abbagliante della Monument Valley subentra una notte cupa (fotografata dal fido Joseph McDonald) in cui si muovono fantasmi, indiani ubriachi, prostitute messicane, attori con amnesie, vecchi assassini, medici con la tubercolosi in fase terminale. In questa corolla di tenebre Clementine è un raggio di sole e non a caso la sua prima apparizione avviene in piena luce. Doc Holliday è in fuga dalla purezza di Clementine ed è morbosamente attratto dal lato oscuro della meticcia Chihuahua (Linda Darnell) che lo avviluppa a sé attraverso il corpo e l’alcol. Quando osserva sé stesso riflesso nel vetro non può che frantumarlo in un gesto citato testualmente da Sam Peckinpah nel suo Pat Garrett e Billy The Kid. Il dualismo tra Wyatt Earp e Doc Holliday è espresso magistralmente in due scene: il primo incontro al bancone del bar dove i due continuano a scambiarsi i ruoli di dominanza e il momento della recita dell’Amleto dove Doc rivela la sua pulsione di morte completando il monologo lasciato interrotto dal vecchio attore Granville Thorndike (Alan Mowbray dal vistoso accento inglese). Il viso stravolto dagli improvvisi accessi di tosse, la fronte madida di sudore, gli occhi lucidi, sono le stimmate di un uomo che non trova più posto nel nuovo mondo. Wyatt Earp cerca invece di adattarsi alla civiltà sbarbandosi, profumandosi e incarnando una figura di autorità necessaria per traghettare il vecchio nel nuovo.

Gli effetti morali del comportamento di Wyatt sulla comunità si rivelano simbolicamente nella scena del ballo di Wyatt e Clementine (rielaborata da Michael Cimino ne I cancelli del cielo), i cui passi di danza tracciano le coordinate delle fondamenta della chiesa in costruzione. Nel frattempo il maturo patriarca Clanton (Walter Brennan) invece di rappresentare saggezza e onestà si rivela costantemente un personaggio odioso e meschino, capace di frustare i propri figli e di sparare alle spalle. Il duello finale è inevitabile ed è condotto da John Ford con la solita padronanza della grammatica filmica: silenzio spettrale, continui riferimenti a palizzate o transenne in legno che incorniciano gli assediati, gli stessi fucili dei Canton sono orientati in maniera da rendere l’inquadratura una gabbia. Wyatt Earp e i suoi uomini compaiono in campo lungo come angeli sterminatori. Poi il colpo di scena: un frammento di Ombre rosse penetra dentro la sfida all’O.K. Corral come provenisse da un altro spazio e da un altro tempo. La diligenza fantasma è cinema nel cinema che rompe il silenzio creando un cortocircuito nella narrazione: fumo, spari e un fazzoletto bianco che svolazza nel vento, reliquia di un’esistenza arresa.

Ispirato dal libro Wyatt Earp Frontier Marshall di Stuart N. Lake, rifacimento molto libero di Frontier Marshall (1939) di Allan Dwan, Sfida infernale è un esempio paradigmatico di sur-western, cioè di opera che trascende il suo genere per parlare d’altro, in equilibrio dinamico tra epico e romanzesco. La storia si tramuta in leggenda non solo nei duelli e nelle sparatorie ma principalmente attraverso i conflitti interiori di uomini e donne, apparentemente ordinari, impegnati in azioni straordinarie. Il cinema americano per eccellenza.

 

Titolo originale: My Darling Clementine
Regia: John Ford
Interpreti: Henry Fonda, Linda Darnell, Victor Mature, Walter Brennan
Durata: 97′
Origine: USA, 1946
Genere: western

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4.9 (10 voti)
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