SPECIALE "IL PETROLIERE" – Infiltrazioni

Un’opera che fa della sua economia di linguaggio, del suo magico equilibrio, la grandezza stessa della sua epica tutta sotto superficie –  come le ‘infiltrazioni’ di petrolio sotto un primo strato di terra. Eppure There will be blood si rivela paradossalmente come una continua riscoperta del cinema, un atto di rinascita .

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 “Un brindisi ai produttori indipendenti d’America!”
Daniel Plainview

 

La consapevolezza spietata di un primo piano, e a Daniel Plainview diviene inequivocabilmente palese che l’uomo che si è spacciato per Henry Plainview non è in realtà il suo fratello ritrovato, il parente perduto a cui confidarsi finalmente ed aprire il proprio cuore con confessioni sincere che al contrario avevamo imparato a non aspettarci dal personaggio cupo ed ombroso di questo oil man. Day-Lewis passa nell’arco di due-tre fotogrammi dal sorriso radioso di chi è in compagnia di un amico, all’espressione allibita di chi è stato ferito a morte nel proprio lato più fragile e umano, quello dei sentimenti: a fronte di una serie di esaltanti scene madri in cui l’attore aggredisce animalescamente il personaggio sputandolo fuori dalla bocca come un esorcismo di segno contrario. Si è convinti che sia questo l’istante in cui l’enorme istintualità attoriale del neo-premio Oscar viene fuori in maniera più limpida, fresca, potente. I due sono seduti sulla sabbia di una spiaggia, di fronte a loro il mare aperto. Ed è lì che Plainview torna a tuffarsi, immerso tra le onde di  Bob Elswit mentre fissa con uno sguardo torvo già esso stesso omicida l’impostore sulla spiaggia. La scelta è stata fatta, ogni residuo di umanità nell’animo di Daniel Plainview è definitivamente sepolto: egli è solo, immerso nell’acqua che più tardi lui stesso chiamerà “il sangue dell’agnello”, di fronte a lui solo rivali che gli hanno mentito e che vanno schiacciati. E’ in quel preciso momento che inizia la discesa di Daniel verso un delirio sempre più solitario ed annientante. There will be blood, capolavoro aereo e assoluto di Paul Thomas Anderson, è un’opera che fa della sua economia di linguaggio, del suo magico equilibrio (per cui non c’è un movimento di macchina, una sequenza, una traiettoria della cinepresa che non siano perfettamente bilanciati nella durata, nel disegno, nella finalità), la grandezza stessa della sua epica tutta sotto superficie. Come le ‘infiltrazioni’ di petrolio nel terreno dei Sunday, ‘sparse’ per tutto il territorio subito sotto un primo strato di terra, così che diventa talmente facile riuscire a far zampillare il petrolio che basta calcare un po’ di più il piede per averne la suola bagnata. Ed Henry Plainview diventa allora il personaggio più perfettamente cinematografico del film, l’unico completamente inventato, proveniente da un passato di fantasia scritto su di un copione confuso (il diario del vero fratello di Daniel, scorrendo il quale il petroliere scoppierà in un pianto disperato), interpretato anche lui meravigliosamente da Kevin O'Connor (a dimostrazione della grandezza di Anderson soprattutto come trainer d’interpreti, si pensi a Cruise, a Sandler, a tutti gli altri suoi attori in sostanza…) – in opposizione invece al fardello che il personaggio del petroliere si porta addosso, immensa allegoria morale, politica, soprattutto anch’essa di celluloide. La sintesi di tutto un cinema classico intrinsecamente americano e ‘bigger than life’ che There will be blood sublima e, nello stesso istante in cui si permette di farlo esplodere, lo lascia bruciare sino a consumarlo definitivamente. In quest’ottica, l’ “i’m finished” conclusivo di Daniel Plainview diventa, più che la fuoriuscita dalla dimensione filmica da parte di un attore stremato dalla fisicità pazzesca della performance, la dichiarazione dello stesso Paul Thomas Anderson nei confronti di modelli cinematografici che qui trovano l’espressione più alta della loro dimensione immaginifica. Simile in questo a Fata Morgana di Herzog (con Daniel Plainview novello Fitzcarraldo), Anderson filma i paesaggi lunari e sconfinati d’America come se lì non ci fosse ancora mai stato Cinema.  Ecco perchè Eli Sunday scaccia letteralmente la mdp dalla sua chiesa come fosse un demone, durante il sermone. Al di là della potenza dell’apologo, della finezza del dramma morale, della magnifica profondità dei molteplici livelli di lettura, There will be blood si rivela allora paradossalmente come una continua riscoperta del cinema, della ‘bellezza assoluta’ di un pianosequenza anche discreto, non urlato ai quattro venti, della poesia di un carrello, del piacere fisico di una colonna sonora sublime (Jonny Greenwood a livelli altissimi), della commozione di un primo piano, della soddisfazione insita nel succedersi geometrico e stilizzatissimo delle sequenze, dell’essenzialità meravigliosa dei dialoghi. Compreso il finale in cui questo cinema-petrolio finalmente zampilla libero, le infiltrazioni appena sotto il terreno infine giungono in superficie, il drenaggio pompa con la sua ‘cannuccia’ il liquido di questo cinema e lo spara tutto contro una macchina da presa sempre bagnata. Nello stesso istante in cui prende fuoco, questo cinema si autocombustiona, brucia sino alla fine lasciando lo spettatore come i personaggi al cospetto della colonna notturna di fuoco del pozzo di petrolio in fiamme – nel buio totale rischiarato dai riflessi dell’incendio, il volto rossastro di Daniel Plainview spicca più demoniaco e luciferino che mai, e il petroliere sta ridendo, affascinato dallo spettacolo della distruzione tanto da dimenticare il figlio ferito dall’esplosione: il cinema è (ri)nato. 

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