Sul set di "Cantando dietro i paraventi", il nuovo film di Ermanno Olmi

Per presentare la sua ultima pellicola Olmi accoglie i suoi ospiti con gentilezza, proprio come farebbe un'educata padrona di casa, e li invita a stupirsi insieme a lui di quanto "l'industria cinematografica italiana sia fortunata nel poter usufruire del prezioso lavoro di artigiani tanto bravi quanto modesti, capaci di tali precise ricostruzioni"

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Nel momento in cui si varca la soglia di un teatro di posa non importa se fuori c'è il sole o sta nevicando. Ci si accorge solo dell'immediatezza e di ciò che gli occhi registrano in quell'istante, in quanto viene annullata dalla più alta esemplificazione della finzione cinematografica (un enorme set allestito) qualsiasi prospettiva legata allo spazio ed al tempo. Un'imponente nave di fatture orientali con una scintillante pagoda rossa posizionata al centro del ponte, è ciò che abbiamo visto appena i nostri occhi si sono abituati alla dimensione dell'oscurità, un'atmosfera completamente opposta allo scintillio del riverbero solare proprio di una limpida mattinata di gennaio. Per presentare la sua ultima pellicola, Cantando dietro i paraventi, Ermanno Olmi accoglie giornalisti ed ospiti con gentilezza, proprio come farebbe un'educata padrona di casa, e li invita a stupirsi insieme a lui di quanto "l'industria cinematografica italiana sia fortunata nel poter usufruire del prezioso lavoro di artigiani tanto bravi quanto modesti, capaci di tali precise ricostruzioni".

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Continua a stupire il regista settantenne proprio per la scelta dei particolari soggetti attraverso i quali racconta di "sentimenti comuni a tutti gli uomini, nonostante si decida di ambientare la storia in un'epoca così lontana". E decisamente è lontano dalla contemporaneità e dal mondo occidentale non tanto il luogo fisico in cui si svolge la vicenda, la Cina dai numerosi fiumi che scendono verso l'oceano, quanto lo stile di vita della protagonista, l'affascinante vedova Ching, celebre (poiché presente in molti documenti e leggende cinesi) donna a capo di navi pirata divenuta tale dopo che il marito, il bandito ammiraglio originale, è stato assassinato in seguito al rifiuto della nomina a Capo Supremo dei Reali Corsari. "Si tratta effettivamente di una concubina ma non con l'accezione negativa che viene data alla parola dalla traduzione italiana, bensì con la valenza che le attribuisce il vocabolario cinese: una donna, la preferita tra tutte magari, con cui condividere i piaceri del letto e della vita." Ad incarnare la piratessa sarà Jun Ichikawa, studentessa di architettura a Roma, la cui visione per il regista è stata una "vera folgorazione". Accanto a lei Carlo Pederzoli lontano ormai anni luce dal suo Bud -feticcio- Spencer. "La storia da cui parto – prosegue Olmi – è vera, si parla della vedova Ching anche negli archivi storici di Pechino. Se sembra una favola è per la distanza, un po' come accade per i primi amori che vengono sempre rivisti attraverso una luce leggendaria. Si parla sempre di uomini, nonostante abbia scelto di raccontare della Cina. Le differenze le creano le sovrastrutture, le stesse che ci dividono e ci fanno combattere. Una realtà estranea in cui siamo osservatori ci permette di essere più disponibili verso la ragione piuttosto che verso la fazione".

Fiaba e Storia, realtà e fantasia, amore e morte perché, come puntualizza Olmi citando Rossellini, "E' obbligatorio raccontare la Storia perché è la sola cosa che ci può aiutare a capire chi siamo". Ecco, dunque, che il regista torna sul medesimo argomento del Mestiere delle armi: l'inutilità della guerra ed insieme la sua ineluttabilità dovuta alla debolezza dell'uomo che crede di poter affermare la propria grandezza attraverso l'esercizio della violenza. "In questa storia mi piaceva sottolineare che c'è sempre la possibilità di un dialogo da opporre ad una conflittualità obbligata. Nel finale la vedova Ching ha due possibilità: combattere fino alla morte o cercare un dialogo. Così decide di tornare donna, e nel suo ruolo naturale è vincente. Non lo dico con antifemminismo, al contrario credo che ci siano nel femminile più forza e saggezza". Una guerra depurata dalle battaglie perché, come puntualizza il regista, "mostrare i conflitti non serve a nulla, lo stesso vale per gli amplessi, ormai ne abbiamo visti talmente tanti. Inoltre trovo vergognosa la spettacolarizzazione della guerra come accade, ad esempio, in televisione". 


Negli immensi studi sulla Pontina (a circa una ventina di km da Roma) realizzati negli anni '60 dal produttore Dino de Laurentis, conosciuti come "Dinocittà", ed ora interamente restaurati e identificabili sotto il nome meno ombelicale e più internazionale di Roma Studios, Ermanno Olmi si lascia immortalare vicino ad una decina di modellini di imbarcazioni. Sono perfette ricostruzioni delle suggestive navi imperiali che, assieme alla sua troupe internazionale, il regista ha filmato per circa nove settimane sul lago di Scutari, in Montenegro, combattendo contro un clima assolutamente imprevedibile. Anomalie metereologiche che hanno rischiato di far sforare il budget di 9 milioni di euro sostenuto da Raicinema (per l'occasione Giuliano Montaldo ha consegnato un premio al regista), insieme ai francesi di Cinemaundici e agli americani di Lakeshore.


L'uscita è prevista per il prossimo ottobre, la partecipazione ai festival (Cannes, Venezia) già meno scontata visto che "ormai questi festival sono diventati tutt'altro che una festa, una vera battaglia". Al contrario quello che Ermanno Olmi vuole comunicarci è una sempre più rara sensazione di pace, a cominciare proprio dal titolo che "mi fa pensare alla vita, a quando ero ragazzo e sentivo le donne cantare mentre lavavano i panni. Oggi si sente solo il rumore della lavatrice".      

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